Sanità

Ictus non diagnosticato, processo in tribunale a Trento

I fatti risalgono al 2020, quando l’episodio fu inizialmente classificato come "attacco emotivo", solo una settimana dopo la diagnosi. La26enne di Cles colpita dall'ictus ischemico è rimasta parzialmente paralizzata

ERRORE MEDICO. La diagnosi solo una settimana dopo i primi sintomi



TRENTO. Avrà luogo domani, 6 marzo, la prima udienza relativa all'inchiesta avviata dalla Procura della Repubblica di Trento per lesioni personali colpose gravissime in relazione alla presunta mancata diagnosi che ha interessato Rossella Nadalutti, la 26enne di Cles rimasta parzialmente paralizzata a causa di un ictus nel 2020.

La famiglia della ragazza - si apprende - sarà accompagnata dagli esponenti dell'associazione Uniamoci Trentino. La storia della giovane, costretta su una sedia a rotelle dopo l'incidente, è comparsa sulla stampa locale per la lettera inviata lo scorso anno dalla 26enne alle istituzioni provinciali in relazione alla necessità di trovare un nuovo alloggio, dato che quello in cui risiede attualmente si trova al terzo piano di un edificio privo di ascensore. Secondo la ricostruzione riportata dall'associazione, la 26enne è stata accompagnata in ospedale a Cles il 21 agosto del 2020 a causa di dolore alla testa e formicolii, seguiti da perdite di conoscenza, problemi nella parola e paralisi facciali parziali.

Inizialmente - a quanto racconta la stessa ragazza in una lettera - "si parla di attacco emotivo" senza "alcun sintomo neurologico", mentre la settimana successiva viene diagnosticato un ictus ischemico al ponte encefalico attraverso una risonanza magnetica. Nel frattempo, la ragazza viene portata in terapia intensiva e intubata a causa di un grave peggioramento delle condizioni di salute, che porta i medici a parlare anche di "morte cerebrale".

Dopo un mese di coma, la 26enne si risveglia. Cosciente ma priva della possibilità di parlare, si ritrova "in una neurologia i cui operatori sono molto freddi e distaccati" e "non si fanno scrupoli a fare determinati commenti". Dimessa dopo 9 mesi dall'ospedale Villa Rosa di Pergine, la giovane si scontra anche con il blocco del ciclo di fisioterapia, a cui segue un nuovo appello alle istituzioni. La famiglia della giovane ha rilevato anche di non essere stata informata dei contributi a cui avrebbe avuto diritto per prestazioni e apparecchiature sanitarie specifiche.













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