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Lavoro, 30mila senza contratto. A rischio le spese di Natale

L’intero settore sta programmando uno sciopero nazionale per il mese di dicembre. Costanzo (Cgil): «Gli stipendi sono bloccati, l’inflazione morde sulle famiglie e i diritti diventano meno diritti»



BOLZANO. I negozi, quelli che vediamo illuminati la sera a tenere viva una città. E poi chi consegna le merci tutte le mattine, dal cibo per i gatti a quello per noi; ancora: il terziario avanzato che pare invece che arretri sul fronte dei diritti e gli impiegati delle associazioni, persino le più esposte nei settori dell’assistenza a chi non ce la fa. Ebbene, questo esercito - perché di esercito si tratta, superando qui i 30mila addetti - è pronto a scioperare. Giù le serrande, stop, chiuso. Lo farà a dicembre. Quando sarà inevitabilmente più visibile e molti si chiederanno perché non posso fare la spesa o comprare i regali.

C’è una ragione per questa trincea in costruzione: dal 2019, dunque da più di tre anni, i trentamila e più lavorano con il contratto scaduto. «E contratto - spiega Antonella Costanzo della Cgil - non significa solo stipendi bloccati, inflazione che morde sulle famiglie, ma soprattutto diritti che diventano meno diritti». Per questo Cgil, insieme a Cisl, Uil e Asgb - certificando anche una connessione non sempre presente tra sindacati nazionali e sindacato etnico - hanno annunciato ieri lo sciopero del terziario. Che è poi una sola parola per indicare una marea di impieghi, settori, responsabilità, orari. Si parla in questo caso di distribuzione, servizi, distribuzione organizzata o cooperativa. «Lo sciopero, date e modalità sarà deciso a breve. Ma ci sarà» hanno confermato le rappresentanze nazionali.

La trincea è già attiva. Per cui vi sarà l’immediato stop a qualsiasi forma di flessibilità, quella che nella sostanza tiene in piedi centinaia di aziende contando sulla disponibilità dei dipendenti. E dunque niente lavoro supplementare, straordinari, prestazioni domenicali per chi non vi è tenuto per previsione di contratto individuale, banca-ore e patti con clausole. Una selva di opzioni che rendono mobile il lavoro e le prestazioni e che adesso saranno irrigidite dallo stato di agitazione. Al centro, tra le altre questioni, il mancato riconoscimento di possibili incrementi contrattuali a difesa dall’inflazione: sta qui lo snodo della stallo: «I datori di lavoro sono indisponibili a fornire quote di salario a compensazione del lungo periodo trascorso dalla scadenza dei contratti - spiegano i sindacalisti - pur sapendo che l’inflazione ha eroso gran parte del potere d’acquisto di chi lavora nel settore».

Fornendo così una immagine plastica della liquidità dei confini tra chi, consumatore, si trova i listini dei prezzi sempre in ascesa e chi quei prodotti deve vendere e si trova anch’egli schiacciato dal carovita. Poi si innesta la qualità del lavoro: la sempre maggiore flessibilità dei modelli organizzativi aziendali ha prodotto turnazioni asfittiche e carichi di lavoro sempre più impegnativi. Ci potrebbe essere una possibilità tattica in questa situazione di indisponibilità delle organizzazioni datoriali nazionali: i tavoli territoriali.

Ma anche in questo caso non pare esserci possibilità di manovra se non sostitutiva almeno parzialmente flessibile. «Abbiamo iniziato a condurre una trattativa con l’Unione commercio - rivela Costanzo - ma ad un certo punto l’organizzazione altoatesina non si è detta più disposta a dialogare. Per questo abbiamo rotto». Di fronte al blocco anche su questo fronte, ecco l’adesione allo sciopero nazionale di dicembre. «Le parti datoriali - conclude la sindacalista - chiedono di ridimensionare anche istituti radicati, ad esempio riferiti a scatti di anzianità, permessi e quattordicesima. Dunque ridimensionare anche i diritti per mettere a disposizione degli imprenditori un contratto definito più innovativo». Anche da qui la rottura.
P.CA.













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