Il lutto

A 94 anni se ne va la mitica Jone, storica ristoratrice meranese 

Con il marito Gino Arduini è stata il punto di riferimento per migliaia di giovani reclute a Merano. Nella sua vita anche gli anni a Berlino durante la dittatura nazista. Nel 1961 l’arrivo in città



MERANO. Se ne è andata nei giorni scorsi alla soglia dei 94 anni Jone Di Michele, per decenni gestrice assieme al marito Gino Arduini del ristorante all’Uva di Merano, punto di riferimento per migliaia di giovani reclute provenienti da tutt’Italia che in città compivano il periodo di addestramento militare.

Una storia di vita che ha il sapore di una trama cinematografica, quella di Jone Di Michele. Nata a Jouef, nel 1939 dovette scappare dalla Francia perché la madre delegata sindacale comunista era stata messa sotto controllo dalle autorità governative.

Il padre, dipendente presso una ditta a Berlino, in piena guerra chiese il ricongiungimento familiare e le due donne ripararono nella capitale tedesca, dove Di Michele iniziò a lavorare come tuttofare presso un prestigioso salone per parrucchiere berlinese nel quale passavano le mogli dei vertici SS e Gestapo.

«Tutti pensano alle SS, ma la cattiveria che ho visto negli ufficiali delle Organizzazioni Todt, camicia kaki e sguardi agghiaccianti, non potrò mai dimenticarla, così come i discorsi contro gli ebrei di quelle ricche donne, mentre pulivo il pavimento o lavavo loro i capelli», raccontò in una intervista per i suoi 90 anni. Era una Berlino tappezzata di scritte “Für Jude verboten”, quella raccontata da Di Michele, all’epoca residente nella Ludendolfstrasse, a pochi passi da dove Hitler teneva i suoi discorsi nel capannone della Potsdamerstrasse. Dal 1943, spiegò Di Michele, con l’8 settembre e la resa dell’Italia iniziarono i giorni d'inferno per i pochissimi italiani ancora residenti a Berlino. «Si doveva parlare sottovoce e in tedesco, e con un accento credibile, fino a quando non arrivarono i russi a liberare la città».

A quel punto, un altro ricordo, ovvero quando il futuro marito Gino Arduini - che conobbe prigioniero dei tedeschi proprio a Berlino - si mise di traverso tra la furia dei militari russi che facevano razzie di donne e bambine e una trentina di nobildonne tedesche che protesse da un tragico destino, salvando loro la vita. Quindi, la partenza da Berlino con la famiglia, e un infinito viaggio verso casa su un carro bestiame, attraverso l’Europa smembrata dai bombardamenti e in preda alla fame. Dal dicembre del 1961, l’arrivo a Merano e la gestione del ristorante all’Uva. Tantissimi gli ex soldati che negli anni sono tornati in città, magari assieme alle famiglie, per salutare quella donna minuta, punto di riferimento nei loro momenti di solitudine per la lontananza da casa.

Infine, grazie a una complicata ricerca, all’inizio degli anni Novanta, ormai anziana, la signora Frieda Höflich che a Berlino durante la guerra aveva dato lavoro a di Michele arrivò in città per salutare la sua “Joni” dopo oltre 45 anni. Ecco come Di Michele concluse l’intervista che le facemmo nel 2017: «Una mattina, mentre le pettinavo i capelli, la signora Frieda mi confidò che secondo lei i tedeschi non avevano completato l’opera di sterminio di tutti gli ebrei. Una frase che immediatamente mi riportò a quegli anni di follia, ma Frieda a casa mia non avrebbe mai più messo piede».













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