Commessa incinta al 6° mese, negata la maternità anticipata 

La segnalazione. Una meranese chiede un mese e mezzo di astensione da un lavoro a strettissimo contatto col pubblico L’Ispettorato rigetta l’istanza. «Dobbiamo aspettare che siano contagiati mia moglie e il nostro bambino?», scrive il marito


Sara Martinello


Merano. È all’inizio del sesto mese di gravidanza nel pieno dell’emergenza sanitaria, ma l’Ispettorato del lavoro le nega la maternità anticipata. Elena (il nome è di fantasia a tutela della protagonista della vicenda) è commessa in una catena di negozi dedicati ad articoli per la casa e per l’igiene e alla cura della persona, attività non interessata dal decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 11 marzo. Una mansione ad alto rischio, in questo periodo, svolta nell’apprensione per la salute propria, per quella dei cari che si ritroveranno una volta tornate a casa e, nel caso di Elena e di molte altre come lei, per la salute del feto che si porta in grembo.

Mansione ad alto rischio.

A raccontare la situazione di Elena è il marito, autore di una lunga e-mail. “Mia moglie è incinta all’inizio del sesto mese e a casa abbiamo uno splendido bambino di appena un anno. Essendo incinta, la sua mansione si traduce nell’obbligo di stare in cassa. Quindi una condizione che dovrebbe essere di sicurezza si trasforma in questo particolare momento di pandemia nella situazione più a rischio. Mansione che l’azienda, anche volendo, non avrebbe facoltà di modificare, dal momento che non può metterla nel magazzino a scaricare merci. Oltretutto il punto vendita in cui lavora riceve la merce da magazzini di Padova, zona rossa dall’inizio del contagio”.

Ogni giorno Elena in cassa è a contatto con centinaia di clienti, che non avendo l’obbligo di indossare guanti e mascherine sono potenzialmente contagiosi. Giustamente preoccupata per il bambino che porta in grembo, non essendoci fino ad oggi nessuna certezza che i feti nel secondo trimestre di gravidanza non vengano contagiati e non conoscendo dunque quali effetti questo virus potrebbe avere, Elena chiede la maternità anticipata. Si tratterebbe di appena un mese e mezzo, perché il 7 maggio andrebbe in maternità obbligatoria. Quindi andrebbe a coprire esclusivamente il periodo di maggior rischio.

La risposta dell’Ispettorato.

A questo punto, la coppia inoltra la domanda alla Provincia, “la quale – riprende il marito di Elena –, ci ha liquidati scrivendoci che questa non è una situazione di rischio”. La risposta, infatti, è che “l’istanza viene respinta in quanto non sussistono condizioni tali da dar corso al provvedimento di interdizione dal lavoro. Trattasi di rischio non presente nel Dvr (documento di valutazione dei rischi, ndr) e che rientra, in caso di pericolo grave e imminente, nella sfera di competenza dell’autorità sanitaria”.

Le misure del governo.

La coppia rimane attonita. “Se, secondo la nostra Provincia, non è questo il periodo con il rischio maggiore, quale potrebbe esserlo?”, domanda il marito di Elena. “Ma soprattutto mia moglie, sempre a contatto con i clienti, non è esposta a un rischio maggiore di altri?”. Nell’e-mail è segnalata quella che appare come una discrepanza tra l’operato dell’Ispettorato e le direttive contenute nel decreto Conte. “Dobbiamo aspettare che vengano contagiati lei e il bambino che porta in grembo affinché la Provincia ritenga più idoneo che si tuteli restando a casa, come il governo ci sta chiedendo di fare? Chi, tra coloro che in commissione hanno preso questa decisione, si assume anche la responsabilità nel caso in cui questa situazione degenerasse e succedesse qualcosa a mia moglie o al bambino che aspettiamo? Non dovrebbero essere tutelate le categorie più a rischio? Se il presidente del Consiglio ha emanato delle misure urgenti per la sicurezza e per la salute di tutto il paese, non è evidentemente questo un periodo considerato di rischio? Mi auguro che la decisione presa dalla provincia sia la mossa più idonea a proteggere i suoi concittadini. Anche se mi restano forti dubbi che abbia agito nell’interesse del bene collettivo”.













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