Piano delle zone di pericolo La frana a S.Zeno spalanca i dubbi 

Il caso. La frana che ha coinvolto un condominio presso porta Passiria a inizio di dicembre dopo giorni di neve e pioggia si è verificata in un’area  che non prevedeva particolari minacce. Dal 2015 Merano è dotata di una mappa di rischio idrogeologico, ma non è mai stata aggiornata


Jimmy Milanese


Merano. L'area di Monte San Zeno interessata dalla frana che lo scorso dicembre ha investito un condominio nei pressi di porta Passiria ad oggi non è classificata come zona rossa dal Piano delle zone di pericolo: è a cavallo di una zona blu e gialla corrispondente a un solo lieve rischio di frane. Sono eventi di questo tipo, accaduti a due passi dalle passeggiate e in zone considerate a basso rischio dal Piano del 2015 a suggerire la necessità di un adeguamento di questo documento, soprattutto dopo che negli ultimi mesi la natura ha già dato segni di non essere più quella dell’epoca dell’estensione del documento.

Il documento.

Approvato dal consiglio comunale nel 2015, il Piano delle zone di pericolo di Merano ha ormai oltre cinque anni di vita. Il documento, frutto di un lavoro durato oltre un anno, mira a consentire un’efficace azione di governo del territorio e di difesa del suolo, contrastando l’aumento dell’esposizione al rischio per le persone, le cose ed il patrimonio ambientale. Tre sono le aree di indagine sulle quali è stata prodotta una dettagliata documentazione: la possibilità di frane, le esondazioni da parte dell'Adige o del Passirio e la caduta di valanghe – peraltro remota - all’interno dei confini del territorio municipale.

Il Piano, si legge nella relazione finale datata 6 febbraio 2014, «rappresenta una immagine dello stato attuale del territorio rilevato ma non è in grado di prevedere ed includere tutti i nuovi fenomeni e pericoli idrogeologici naturali che si potranno manifestare nel futuro, in connessione con la variazione naturale del territorio che, con i propri ritmi e processi, muta continuamente nel tempo». In altre parole, il Piano delle zone di pericolo non deve essere considerato come un documento fisso e definitivo nel tempo, bensì come uno strumento di lavoro dinamico che necessita di continua evoluzione.

Eventi eccezionali.

Della necessità di aggiornamento del Piano si sta discutendo da mesi all'interno degli uffici dell'amministrazione comunale, proprio per via di una serie di eventi atmosferici eccezionali che hanno investito la città negli ultimi anni e che con buona probabilità sono almeno interconnessi al cambiamento climatico in corso. Eventi che tutti ricordano, ad esempio la frana che in via Nazionale ha investito il capannone del centro di riciclaggio dei fratelli Picelli nel 2014, ma anche il crollo del costone di montagna in via Monte San Zeno appena lo scorso dicembre, oppure gli smottamenti continui dal versante di Montefranco a Sinigo. Queste manifestazioni violente della natura si sono verificate molto spesso in occasione di precipitazioni copiose, magari associate a forti venti che tutti ricordiamo per avere causato anche l'abbattimento di poderosi alberi secolari.

Idrogeologia in sofferenza.

Sulla questione del cambiamento climatico e dei suoi effetti, interviene Nicola De Bertoldi, responsabile del servizio urbanistica del Comune. «Il Piano in vigore ha in principio una vigenza illimitata, può venire integrato e rielaborato ma ad oggi rimane uno strumento irrinunciabile per la salvaguardia del territorio. Bisogna però dire che la crisi climatica in corso sta influendo anche sul destino del nostro territorio, aumentano le precipitazioni per via della presenza di più acqua in circolo come conseguenza dell'evaporazione dei ghiacci. È presto per fare valutazioni su scala temporale ma la sensazione è che la idrogeologia sia in sofferenza, mentre registriamo un aumento delle frane anche in zone inaspettate o dove queste non facevano parte della nostra memoria storica», spiega De Bertoldi. Queste considerazioni portano alla mente la recente frana che a Bolzano ha investito e in parte distrutto l'Hotel Eberle. «Dalle prime analisi l'evento sembrerebbe essere stato causato da una penetrazione di acqua all'interno del tessuto roccioso poi ghiacciata per via delle temperature molto basse. Il distacco del terreno potrebbe essere stato indotto da questo processo nel tempo», sintetizza il tecnico. Per evitare allarmismi, è il caso di anticipare che il Piano delle zone di pericolo per il territorio meranese non segnala situazioni di pericolo idrogeologico simili, anche se la nostra città non pare estranea a situazioni di criticità.

Concessioni edilizie.

Infatti, sfogliando le centinaia di pagine che compongono le tre relazioni tecniche al Piano relative al rischio di frane, esondazioni e slavine, si nota subito come le cosiddette zone rosse – vale a dire quelle aree dove uno dei tre fenomeni menzionati presenta un’alta probabilità di verificarsi con effetti di devastazione su edifici, danni alle persone o all'ambiente - non superino il 5% circa del territorio municipale. Zone rosse che si concentrano in gran parte su alcune aree in coincidenza delle passeggiate Tappeiner, e inoltre in particolare nel tratto di via Nazionale che dalla rotonda della Memc arriva fino al depuratore. Nell'area di Sinigo poc'anzi menzionata e già interessata nel 2014 da una frana di 5/6000 metri cubi di materiale roccioso sorgono diverse costruzioni poste in piena zona rossa. Sulla questione è ancora De Bertoldi a spiegare come ciò sia possibile. «Dall'entrata in vigore del Piano, in zona rossa non si rilasciano concessioni edilizie ma, detto questo, a Merano ci sono case costruite precedentemente a quella data che si trovano in aree ad alto rischio idrogeologico», racconta de Bertoldi spiegando come nelle pieghe delle leggi provinciali esista una curiosa norma. «La normativa provinciale prevede per ogni cittadino il diritto di trasferimento della cubatura in caso un edificio di sua proprietà sorga in zona rossa o diventata rossa. Un diritto che prevede dei limiti. Infatti, per adesso la possibilità di trasferimento della cubatura in altro luogo è prevista solo per costruzioni poste in zona rossa ma contestualmente in un terreno agricolo. A Sinigo quegli edifici sorgono su una zona produttiva, quindi i proprietari non possono avvalersi di questa vantaggiosa opportunità», chiarisce De Bertoldi. Per completezza di informazione, allo stato attuale non esisterebbero nemmeno fondi pubblici destinati a quei privati che, impossibilitati a chiedere il trasferimento della cubatura, volessero mettere in sicurezza le loro abitazioni effettuando lavori di consolidamento del terreno.

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