Solland, tentativo in extremis 

Si affaccia un nuovo gruppo interessato: «Ma la Provincia deve concederci trenta giorni di tempo»


di Simone Facchini


MERANO. È una corsa contro il tempo, ed è una corsa a ostacoli. Ma c’è un tentativo di salvare in extremis la Solland. Mentre a Sinigo proseguono le fasi di trasformazione del triclorosilano che preludono allo spegnimento degli impianti della fabbrica fallita, affiora un’ultima iniziativa. «Ma la Provincia ci deve lasciare altri trenta giorni»: è l’appello di Paolo Redi, Ceo della STechnologies e professore all’università di Firenze. Conosce a fondo lo stabilimento meranese, dove fra l’altro ha lavorato ai tempi della Montedison. «Servono 30/40 milioni per ripartire. Un investitore straniero ci ha dato disponibilità per 15 milioni. In due, tre giorni recapiteremo la sua lettera d’intenti al ministero dello Sviluppo economico, dove il vice capo gabinetto Giorgio Sorial si è detto pronto a chiamare la Provincia per chiedere di tenere le porte aperte alla soluzione. Siamo in contatto con altri tre fondi per raggiungere la somma necessaria». In sostanza, oltre a sospendere lo spegnimento previsto dai programmi entro fine ottobre, secondo Redi è essenziale conservare 5 tonnellate di triclorosilano. Una condizione, questa, che avvantaggerebbe la ripartenza. Con un orientamento chiaro: non più produzione di silicio per il fotovoltaico, dove il mercato è dominato dai cinesi, ma per l’elettronica, settore nel quale Merano è riconosciuto come centro di eccellenza. «Parlare di tecnologia di silicio iperpuro nel mondo – spiega Redi - vuole dire riferirsi quasi sempre alla realtà altoatesina».

«La Solland in procedura fallimentare – afferma il professore e ingegnere toscano - rappresenta un chiaro esempio di come si può distruggere una realtà che è considerata dagli anni Trenta un modello di altissime competenze. Purtroppo ha subito il fortissimo ridimensionamento dell’industria chimica. Soprattutto, produrre silicio per il fotovoltaico è stato un errore madornale. Le applicazioni del silicio si sono enormemente sviluppate in Estremo Oriente per il mercato solare che richiede una purezza inferiore rispetto al mercato elettronico. Il mercato europeo è oggi ritenuto poco interessante per i tanti vincoli che affliggono l’industria in Europa e in Italia in particolare».

La chiusura della Solland riguarda un’ottantina di lavoratori che però a regime superavano le 200 unità. Nell’ultimo anno Redi ha svolto un ruolo nell’ipotesi di creare una cooperativa fra dipendenti sostenuta da Legacoop. L’impegno finanziario ha fatto scartare la possibilità. Ha avuto parte in causa pure nel recente avvicinamento di una finanziaria anglo-americana. «Ma allarmati da spettri legati alla questione inquinamento, gli interessati si sono tirati indietro. Non giocano a favore neppure le resistenze a livello locale di chi si schiera per una dismissione della fabbrica». A ogni modo, prosegue Redi, «a Merano il vero patrimonio è dato dal know-how, dalla preparazione dei lavoratori, che è considerata di altissimo livello. L’idea è di concertarsi sulla produzione di silicio per l’industria elettronica che ha esigenze di purezza molto superiori a quelle necessarie all’industria del solare fotovoltaico, dove il dominio è della Cina che riempie il mercato con prodotti di scarsa qualità a prezzi stracciati con chiare azioni di dumping. Una ripartenza si dovrà basare sulla produzione di silicio per i semiconduttori dove è richiesta una elevatissima purezza e soprattutto una costanza della qualità nel tempo. In Cina ad oggi non esistono competenze adeguate. Il business plan, messo a punto anche con la partecipazione di consulenti esterni, prevede un investimento di 30/40 milioni di euro con un tempo di ritorno di circa tre anni. Il mercato è assicurato, i produttori di microelettronica che si sono dichiarati disposti a collaborare ci sono, a partire dalla Global Wafers-Memc che con lo stabilimento stesso di Sinigo potrebbe assorbire il 50% della produzione. Un ruolo molto importante lo deve svolgere la Provincia che non può permettersi di perdere un grande patrimonio di conoscenze, pur in una zona senza criticità sul piano occupazionale». Non da ultimo, una bonifica dell’area comporterebbe spese enormi. Per riconvertirla in zona residenziale o in un parco, Redi ipotizza 100-150 milioni.

«Con un gruppo di tecnici - conclude l’ingegnere - stiamo lavorando per trovare nuovi investitori ed i contatti sono in corso con diversi fondi di investimento esteri che chiedono solo altri 30 giorni per decidere. Se partono i licenziamenti si perde un know-how accumulato in decenni. La Provincia ci conceda questi 30 giorni».

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