Sprar, nel Burgraviato 6 migranti su 10 lavorano 

Il bilancio dell’accoglienza. La Comunità comprensoriale stila un resoconto dei primi 18 mesi «Non sono numeri ma persone. E quando riescono a trovare la loro strada ringraziano di cuore»


Sara Martinello


Merano. Sessantuno i migranti accolti negli Sprar del Burgraviato dallo scorso anno. Sessantun persone che dopo una storia di sofferenza e di distacco dalle loro famiglie hanno deciso di ricominciare a vivere. Un bilancio confortante, sebbene modestissimo rispetto alle migliaia di morti in mare, nel deserto, nei campi di detenzione. Ma per la Comunità comprensoriale è il segno positivo che un lavoro di rete può fare molto per tutti. Con l’incognita del futuro, visto che da Roma non arrivano risposte dal settembre del 2018. «La legge dovrebbe dare risposte, e invece crea solo più confusione», il commento del vicesindaco Andrea Rossi alla legge Salvini, in base alla quale ora gli Sprar possono accogliere solo titolari di protezione sussidiaria o di asilo politico.

Il bilancio del progetto.

A tracciare l’andamento degli Sprar nel Burgraviato sono stati, nel corso di una conferenza stampa, Florian Prinoth, direttore dei servizi sociali della Comunità comprensoriale, la sindaca di San Martino in Passiria Rosmarie Pamer, il vicesindaco Andrea Rossi e Silvia Gretter, coordinatrice del progetto Sprar. Progetto portato a Merano dal vicesindaco Andrea Rossi e avviato nel 2017 ricercando il coinvolgimento dei Comuni, i quali pian piano hanno aderito tutti. «C’è stata un’ottima risposta, senza che si seguissero discorsi di pancia, respingenti», evidenzia Rossi.

Rifugiati e titolari di protezione hanno iniziato a essere accolti a inizio 2018. Alcuni sono stati trasferiti dai Cas (Centri d’accoglienza straordinaria), dove il processo di raggiungimento dell’autonomia è molto più lento. Per quanto riguarda i fondi, inizialmente preventivati in 800 mila euro annui, Prinoth segnala costi che per il 2018 sono stati pari ad appena 400 mila euro, data la disponibilità di alloggi – il cui reperimento ricade nel 5% di oneri finanziari a carico delle amministrazioni locali, a fronte di un 95% di spese a carico dello Stato. Buona anche la risposta della sanità e delle forze dell’ordine, liete di vedere come persone che altrimenti potrebbero cadere vittime della strada siano seguite e riescano a essere incluse nel tessuto sociale. «Nessuna tensione, nessuna diffidenza da parte della popolazione residente – nota Pamer –, nemmeno nelle comunità storicamente più coese». Caratteristica degli Sprar, infatti, è di inserire le persone in centri di dimensioni ridotte, in modo da favorire l’attitudine alla socializzazione dei nuovi arrivati.

Numeri e persone.

Sono 50 i posti riservati all’accoglienza, distribuiti tra 12 appartamenti. In un anno e mezzo sono state accolte 61 persone: si parla di 8 nuclei familiari (tra i 2 e i 5 componenti), 4 donne singole (riunite in un singolo alloggio) e 27 uomini singoli. Undici vengono dall’Iraq, 9 dalla Nigeria, 7 da Somalia e Pakistan, 6 dall’Afghanistan, 4 dalla Cecenia, 3 da Camerun e Libia, 2 da Sudan e Bangladesh. E poi altri migranti da Mali, Guinea Bissau, Guinea, Ghana, Egitto, Costa d’Avorio, tutti singoli. «Una varietà di lingue, di dialetti, di storie diverse – spiega Gretter –. E alle spalle sempre lunghi viaggi, violenze, abusi e dolori. Ogni numero è un nome, una persona, una vita». Degli individui passati per gli Sprar del Burgraviato, il 62% è occupato o ha svolto lavori saltuari, il 10% sono bambini e ragazzi che vanno a scuola, circa il 7% segue corsi di formazione professionale. Per il resto si tratta soprattutto di bambini sotto l’anno d’età e di donne in allattamento o al termine di una gravidanza. Durante la permanenza negli Sprar – in media tra i 6 e i 9 mesi – è offerta la possibilità di frequentare i corsi di italiano e di tedesco tenuti da 5 insegnanti di lingua, insieme alle consulenze fornite da avvocato e psicologhe e al servizio di mediazione culturale attivato grazie a una fitta rete che arriva a toccare il mondo del volontariato, 5 collaboratori esterni «disponibili anche oltre il dovuto», sottolinea Prinoth, cui fa eco Gretter citando «persone del territorio buone, generose e tenaci anche di fronte alle difficoltà». Delle persone occupate, il 15% lavora nel commercio e nei servizi e una percentuale analoga segue corsi di formazione; oltre il 40% nell’industria, il 5% nell’agricoltura, oltre il 15% nella ristorazione o negli alberghi, il 5% nell’edilizia. Negli ultimi 18 mesi, 20 persone sono uscite dal progetto (16 hanno avuto una dimissione protetta, cioè hanno un lavoro e una soluzione abitativa), una è stata trasferita in un’altra struttura e 4 si sono trasferite altrove. Il 30% si è trasferito fuori dal territorio provinciale. «C’è anche la storia di un ragazzo che non vedeva la famiglia da 6 anni – racconta Gretter – e che avendo un contratto di lavoro triennale ha preso un mese di aspettativa, è andato a trovare i familiari sparsi per l’Europa e poi è tornato qui. Un altro, a San Martino, ha cercato di trovare lavoro anche agli altri. C’è riconoscenza, e c’è il desiderio di rinascere e di crescere senza la paura».













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