La storia

Simone Sommariva, il dentista poeta che amava Bolzano e la montagna

Originario di Moena, si divideva tra il capoluogo e la val di Fassa. Medico, ma anche sindaco a Moena, pioniere del turismo invernale, e ancora scrittore e promotore di eventi legati alla cultura ladina. Raccontò: «Mai avrei voluto diventare un campione di sci»


Alberto Faustini


BOLZANO. C'era una volta Bolzano. Ieri, sabato 10 dicembre 2022, abbiamo ripubblicato la testimonianza rilasciata nel 1991 al nostro direttore Alberto Faustini da Simone Sommariva, dentista molto noto a Bolzano ma anche molte altre cose: sindaco di Moena, presidente dell'Azienda di soggiorno, per anni rappresentante di Moena nella Magnifica Comunità di Fiemme. E ancora: poeta e scrittore, fiero delle radici ladine. È scomparso nel 1999 a 71 anni.

È innamorato di queste montagne, della storia e della cultura che sembra quasi sgorgare dalla roccia. Ma ama anche una città: Bolzano. Fin da ragazzino era capace di fare qualsiasi cosa per lasciare Moena e tuffarsi in città. Prima della guerra è arrivato qui con gli sci, in bici, addirittura a piedi. Sperava di diventare un campione di sci nordico. Ma non c'è riuscito e ha trovato nel lavoro, come medico e come dentista, quelle soddisfazioni che lo sport gli ha negato.

Un giorno Simone Sommariva, per tutti Simonin, s'è definitivamente trasferito a Bolzano. Prima di arrivare nella città dei suoi sogni più delicati ha però fatto il sindaco di Moena e per la val di Fassa ha lavorato molto. Ha letteralmente inventato gli impianti funiviari del Lusia e non c'è associazione - culturale, ma non solo - che non abbia fondato o sostenuto. Barba e capelli rossi, il sorriso di uno gnomo che quasi si vergogna di essere sempre allegro, Sommariva ha 63 anni (nel 1991, ndr). Sposato, cinque figli, ama la buona cucina e l'entusiasmo di chi, come lui, fa qualcosa per rilanciare la cultura ladina.

«Nel futuro - sostiene - ci deve essere anche un piccolo-grande spazio per quel passato fatto di ricordi, di tradizioni, di calore e di quella serenità che è ormai quasi sconosciuta. Mi hanno vestito da balilla e mi hanno piazzato nell'orto. Il falegname che viveva sotto di noi, a Moena, ha voluto a tutti i costi fotografarmi. Era appena finita la guerra d'Africa e ci teneva, anche in guerra, ad aver sempre con sé una foto-simbolo. Qualche tempo dopo - ricorda Simone Sommariva stropicciandosi gli occhi - iniziarono i bombardamenti. Io, allora, ero un giovane studente sballottato: il liceo l'ho fatto un po' a Trento, un po' a Cavalese, in parte a Moena e quindi di nuovo a Trento».

«Pur tra mille peripezie, studiare non mi dispiaceva. Il mio vero sogno era però un altro: volevo diventare un campione di sci nordico. In val di Fassa e in val di Fiemme c'erano tanti campioni dai nomi altisonanti, ma pensavo di poter ugualmente emergere. Anzi: ero praticamente convinto, soprattutto all'inizio, di farcela. Entrai nella squadra juniores dell'Unione sportiva "Monti Pallidi". Sono bastate poche gare: ho subito capito che non avrei avuto speranze. I più forti mi davano incredibili batoste».

«Prima della guerra, Bolzano, per me, era già qualcosa di simile a un sogno. A volte, assieme ad amici, arrivavamo con gli sci fino quasi in città. Qualcuno arrivava a Pietralba. Altri raggiungevano Cardano. Poi, a piedi, con gli sci in spalla, si "guadagnava" la città. La sera, con qualche mezzo, si tornava a Ora e poi, in trenino, s'andava fino a casa. A volte arrivavamo invece in città in bicicletta».

«Appena mi sono diplomato, quando la guerra stava finendo, mi hanno richiamato e mi hanno fatto lavorare all'aeroporto di Bolzano. Avevo paura, non lo nascondo. Abitavo fra via Roma e via Torino. "Pippo", l'aereo che tutti ricordano bene, continuava a bombardare la città. Una volta mi sono salvato per miracolo. Ho allora deciso di imboscarmi. Per un paio di mesi sono stato a Ronchi, in un fienile. Spesso, mentre ero nascosto sotto la paglia, passavano i partigiani e, pochi attimi dopo, i tedeschi. Una volta i partigiani presero delle mucche che erano nel fienile e per questo, alla fine della guerra, mi hanno anche dato una sorta di onorificenza».

Quei gemelli indimenticabili 
«
Qualche anno dopo, laureatomi in medicina, mi sono ritrovato nuovamente a Bolzano. Volevo specializzarmi in cardiologia, ma non è stato possibile. E allora sono venuto a lavorare qui, in ospedale. Poi sono finito nello studio di un dentista tedesco. Ed è lì, praticamente, che ho iniziato a fare il dentista. A Bolzano sono rimasto sette mesi. Poi sono tornato a Moena e mi sono messo a lavoricchiare lì. Bolzano, però, continuava ad essere un miraggio. Venivo qui anche solo per andare a vedere film di montagna in via Cappuccini».

«Anche ai tempi dell'Università mi piaceva passare da Bolzano. Per andare a Milano ci mettevo un giorno e una notte, ma allora pareva quasi una cosa normale.I miei primi passi nel mondo della medicina non si possono dimenticare. Fresco di laurea mi ritrovai in una casetta di Vigo di Fassa. Dovevo assistere una partoriente. Il bimbo, fortunatamente, è nato senza problemi. Stavo quasi andandomene, convinto di aver fatto tutto ciò che dovevo fare, quando ho visto spuntare un piedino. Era un parto gemellare. Non sapevo più cosa fare. M'è parso di rivedere, in un secondo, tutti i libri che avevo studiato in quegli anni. Anche l'ostetrica non aveva notato niente di sospetto. Grazie a Dio il bimbo è nato senza problemi. Non me ne sono quasi reso conto».

«Una volta mi hanno chiamato a Pozza di Fassa. Mi dissero che era praticamente morta una donna molto anziana e che ormai "non dava più udienza". Sono arrivato là in Lambretta. La pressione era bassa, ma non mi sembrava morta. Non capivo cosa avesse e ho telefonato al medico di Moena per chiedergli un parere. «Hai controllato il suo alito?» mi chiese l'anziano collega. Sono tornato sui miei passi e l'ho fatto. Ho allora scoperto che quella signora era ubriaca. Per calmarla le davano zucchero e cognac… Qualche giorno dopo era di nuovo in piedi, in piena forma».

«Dal 1953 ho iniziato ad impegnarmi a livello amministrativo, pur non iscrivendomi mai a un partito. A Moena ho fatto il consigliere, l'assessore e il sindaco. Molti non lo ricordano nemmeno, ma a quei tempi non c'era proprio nulla. Eravamo in un paese agricolo appena uscito dalla guerra. Non c'erano strade, non c'erano strutture. Appena diventato sindaco ho vissuto un'esperienza incredibile. Qualche tempo prima era stata sequestrata della grappa e sistemata in Comune. Quel giorno c'era l'asta. Quando i finanzieri recuperarono la grande damigiana, scoprirono che era ancora perfettamente sigillata, ma vuota. Sì, incredibilmente vuota. Di fatto, come sindaco, ero l'unico responsabile della "scomparsa" della grappa. C'era un solo modo per evitare grane. Acquistare la damigiana, come se fosse stata piena, nel corso dell'asta. Mi sono fatto prestare i soldi e una signora, con i quattrini che le avevo appena dato, ha gentilmente finto di comprarla. Tutto è finito bene, ma ho avuto non poca paura. Per una sciocchezza rischiavo di finire in un mare di guai. Il messo comunale, probabilmente, aveva bevuto tutta la grappa grazie a due cannette di rame».

L'amore per la montagna e per la cultura ladina
«Negli anni Settanta, quando ormai non ci speravo quasi più, sono tornato nell'amata Bolzano. L'ho fatto perché i figli, crescendo, dovevano andare a scuola. In valle non era possibile allora ci siamo trasferiti definitivamente. All'inizio ho aperto uno studio dentistico in via Rovigo. Stavo un po' a Moena, dovevo avevo un altro studio, e un po' a Bolzano. Poi, quando i clienti iniziavano ad essere tanti, mi sono spostato in Corso Italia. Ora ho smesso di fare il dentista. Adesso faccio solo il medico legale.Quando ho un po' di tempo, però, torno in montagna. Ho sempre amato moltissimo le vette, la roccia, la neve. Anche il mio amore per Bolzano e per i bolzanini, in fondo, è legato alla montagna. Quando eravamo ragazzi, infatti, non andavamo a scalare con i trentini, sul Brenta, ma preferivamo andare in Marmolada, sul Catinaccio o sul Sella, con gli altoatesini.Da quando ho compiuto 50 anni ho smesso, purtroppo, di arrampicare e di fare grandi camminate. Da allora, però, ho iniziato a girare. Voglio vedere tutti i grandi gruppi: il Cervino, l'Eiger, le montagne di Adelboden… Il mio, se così si può dire, è un ritorno alla montagna idealizzato. Lo stesso mio amore per la cultura ladina, in un ceto senso, fa parte della passione per la montagna. Da ormai tanti anni tento di fare qualcosa per valorizzare proprio la cultura ladina. Come editore, come pubblicista, come innamorato, se posso dire così, di una realtà ancora viva, che alla fine della seconda guerra mondiale ha avuto la forza di rinascere, di ricrescere. Nel '48 c'è stato il primo raduno di ladini a Passo Sella. Abbiamo incontrato gli ampezzani e abbiamo iniziato a lavorare per far risorgere una lingua e una tradizione che non si possono cancellare. Da allora non ho mai smesso di impegnarmi in questo campo, anche se le delusioni, tante a volte, sono maggiori delle soddisfazioni».













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