REPORTAGE

Viaggio a Castelbello-Ciardes, dove gli italiani sono solo l'1%

Sono pochissimi i residenti di madrelingua italiana rimasti dopo l’esodo degli operai. Ora il paese punta forte sul vino di qualità, sul turismo sportivo e su Castel Juval


di Sara Martinello


CASTELBELLO-CIARDES. Si trova nel mezzo della val Venosta, ma ha una storia recente che lo assimila a Merano e a Bolzano. Castelbello si sviluppa lungo la statale, con lingue che risalgono i pendii mostrando il castello bassomedievale, gli alberghi panoramici, i meleti e i vigneti. O forse sono i meleti, i vigneti, il castello e gli alberghi panoramici a scivolare verso la statale, la via del turismo, la via che lega il paese al resto della Venosta. Più sotto, Ciardes: case e viuzze accalcate sui tornanti sempre più stretti del centro storico, a guardare i campi, le montagne, le strade.

Catelbello e Ciardes fanno Comune insieme dal 1928, quando un decreto di Vittorio Emanuele III li fuse. A corolla, le frazioni di Colsano, Lacinigo e Montefontana, mentre il castello di Juval occhieggia dalla sua rocca verde. Porta lo stesso nome della proprietà di Reinhold Messner la cooperativa che gestisce i frutteti del territorio, più quelli della frazione di Stava. Quello di Castelbello-Ciardes, infatti, è l’unico comune della Venosta in cui gli agricoltori con vigneti sono in aumento, forti delle sei aziende produttrici di Pinot bianco e nero, Riesling, Chardonnay e dei numerosi premi vinti nel tempo. Si pratica l’export lungo la direttrice orientale: alcune aziende portano l’uva alla cooperativa di Marlengo, alla cantina Merano-Burgraviato, mentre diversi masi producono latte per la Mila. Con un’azienda agricola produttrice di asparagi e una che fa la grappa, qui l’economia fiorisce principalmente attorno all’agricoltura. Il turismo? Nonostante la bellezza del paesaggio, i pernottamenti annui arrivano giusto a 60, 65mila. Il punto è che si tratta perlopiù di turismo giornaliero: la via Claudia Augusta è ora una comoda ciclabile panoramica, e lungo i corsi d’acqua nella natura corrono i cosiddetti Waalweg. Ce n’è per i frequentatori della letteratura gastronomica: si mangia al Kuppelrain, stella Michelin, all’Hofschank Niedermair, nelle malghe. I turisti, tutti da Germania, Austria, Svizzera e Italia, convergono sulle mete del turismo culturale, quello dei castelli. Con quella punta di curiosità per la rocca del re degli ottomila, il signore dei musei.

C’è stato un tempo, però, in cui all’economia locale si aggiungeva il massiccio della Montecatini, col suo portato di immigrati dal resto d’Italia e di storie. Quella che oggi è la sede di Alperia, a Colsano, durante il Ventennio era uno stabilimento che calamitò a Castelbello-Ciardes molte famiglie italiane. Qui i dipendenti trovarono altri operai, ingegneri, ferrovieri arrivati cent’anni fa per la sistemazione dell’Adige e la successiva costruzione della ferrovia. «Pian piano se ne sono andati verso Merano o Bolzano», spiega Gustav Tappeiner, sindaco dal 2010, eletto tra le file della Stella alpina. «Oggi di famiglie con origini italiane ne restano due o tre, sparse nel territorio. Parlano tedesco». Una trentina di persone, l’1,28% di quei 2309 residenti. Parlano tedesco, ma la dichiarazione di appartenenza linguistica li include ancora nel circolo degli italofoni. Una boa nel mare, un «Viviamo la cultura locale ma ricordiamo le nostre storie familiari»? La storia dei veneti, dei lombardi, degli italiani è saldata alle sorti della Montecatini: passata quella, sono passati anche loro, e le famiglie rimaste sono state assorbite nel tessuto sociale del territorio. Ne arriveranno altri, di immigrati. Il comprensorio della val Venosta gestisce compatto l’obbligo dei singoli comuni – come del resto per quanto riguarda l’assistenza sociale – di adesione al progetto Sprar. Ogni comune dovrà quindi trovare una sistemazione per i profughi, dopo l’approvazione del consiglio comunale, scansando così la scure delle sanzioni annunciate dalla Provincia.

Dalla Provincia, però, arriva anche un contributo per gli alloggi per anziani. «Al momento abbiamo una convenzione con la casa di riposo di Laces, ma l’obiettivo è di mantenerli a contatto col paese. Per arrivarci stiamo elaborando un progetto di coabitazione assistita, 4 o 5 appartamenti tecnologicamente avanzati per permettere agli anziani soli di vivere in un posto sicuro e adatto alle loro esigenze. La vita in paese è densa di eventi, tra le manifestazioni al castello, le associazioni sportive, sociali e culturali, le bande musicali, il volontariato nei vigili del fuoco, il lido...», racconta Tappeiner nel suo ufficio nel municipio, una costruzione moderna che affaccia su una piazzetta-anfiteatro che lascia indovinare una vita culturale partecipata, messa al centro dell’attenzione prima di tutto a livello spaziale. «L’Eurac ha messo a punto “Castelbello 2025”, un piano di sviluppo dell’intero territorio comunale costruito sulle proposte elaborate insieme ad Harald Pechlaner e a Greta Erschbaumer nel corso di un anno e mezzo di collaborazione».

Il municipio affaccia anche su una piazzetta contornata da caffè, parcheggi e negozi. Niente Zara, qui resta “Sonja’s”. «Il nostro commercio si basa sul passaparola, come sempre», sorride Sonja Raffeiner mentre due clienti provano vestiti e indagano le file di scarpe ordinatamente esposte sugli scaffali. «La statale è proprio qui accanto, ma di turisti se ne fermano pochi. La clientela è soprattutto locale, poi vengono anche diverse persone dai comuni confinanti, tutte spinte dal passaparola». Scendendo lungo la strada, sul lato destro si incontra un gommista. “Pneumatici”, l’insegna è solo in italiano, il proprietario si chiama Moser. Nella vetrina del panificio fa bella mostra di sé un cartello, “3 mantovanine”. Comprensibile a tutti.

 













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