I cuochi, ostaggi degli esperti e dei giudici popolari

Confronto a Merano tra gli autori delle più importanti guide gastronomiche


di Simone Facchini


MERANO. Siamo un popolo di santi, poeti, navigatori, commissari tecnici della Nazionale di calcio e, da qualche tempo, pure esperti gastronomi. Dopo la visita al ristorante, c’è chi si butta su Internet e stila la sua recensione dandola in pasto a qualche platea. Un vezzo sostitutivo del passaparola, di quella chiacchiera fra amici che fino all’avvento del world wide web si limitava alla cerchia delle tue conoscenze, mentre ora la tua critica arriva anche in Groenlandia. All’epoca delle rete globale tutti possiamo essere giudici, in un mare magnum di valutazioni nel quale anche l’Ulisse dal palato più istruito riesce perdersi. Ieri a Merano, in un Pavillon des Fleurs riempito di appassionati, s’è cercato di dare una cornice a un quadro alquanto intricato, dove - non ultimo - a complicare le cose ci si mette pure il gusto personale.

Il piace/non piace, per fortuna, non ha parametri universali. E dunque le guide gastronomiche, in questo contesto fluido e contraddittorio, che ruolo hanno? La delegazione meranese dell’Accademia Italiana della Cucina, con iniziativa premiata dalle parole dei tanti presenti, per celebrare il suo ventennale ha convocato un “summit”, sollecitando chiarezza (in parte manifestata, in parte celata: ma fa parte del gioco) sui criteri di valutazione delle guide gastronomiche, per alcuni bibbie cui spesso s’affida la scelta del ristorante o del cuoco al quale commissionare la propria soddisfazione a tavola. Almeno dal punto di vista del gusto e dell’accoglienza, il resto dipende sempre da chi siede assieme a te. Al banco dei relatori, Fausto Arrighi della Michelin Italia (ex direttore), Luigi Costa della Guida Espresso, Eugenio Signoroni di Osterie Slow Food, Paolo Petroni segretario generale dell’Accademia.

Si potrebbe dire “amici-nemici”, ovvero concorrenti e rappresentanti di filosofie diverse ma anche, se si allarga l’obiettivo, concordi su alcune “massime comuni”. Primo: le guide, fondamentalmente, cercano, suggeriscono e premiano la cucina “buona”. Raffinata o territoriale, in ameni ambienti o sofisticate location, tutti condividono che la differenza, alfine, la fa il piatto. E mentre la platea, ai racconti di chi le guide le crea, si chiedeva quanto sarebbe bello fare il loro mestiere, puntuale è arrivata la smitizzazione della professione di ispettore (critico, recensore, chiamatelo come volete) gastronomico: si viaggia un sacco, si sta lontani dalla famiglia, e poi quanto il tuo medico guarda le analisi ti chiede come fai a stare ancora in piedi.

Poi dipende da guida a guida, e ci si perdoni la banalizzazione dovuta a motivi di sinteticità: l’ispettore Michelin (gruppo di pochi eletti) è un preparato stakanovista dell’assaggio; il collaboratore Espresso (un centinaio) un appassionato buongustaio; il socio-recensore Slow Food (circa quattrocento) un analista non solo dell’atto finale, ovvero dell’esperienza a tavola, ma di tutta la filiera che guarda anche a sostenibilità ambientale e giustizia sociale.

Non sono etichette, era solo per introdurre il passo successivo, altrettanto fondamentale: la soggettività. Qualcuno del mestiere, Arrighi dice, con l’avvento dei vari Tripadvisor e fratelli ha accusato una perdita d’identità. Il cliente finale, quello a cui le guide si rivolgono, s’è fatto recensore. Ruoli aggrovigliati. Fino a quando, piuttosto presto grazie alla contemporaneità in cui l’oggi è già domani, s’è rivelato il rovescio della medaglia: stesso ristorante, giudizi fra i più disparati.

E allora a chi credere? Ecco che dunque la guida ri-assume il suo ruolo di “faro”, ognuna con la sua stella polare, ma tutte orientate al giusto consiglio. Orientate (si spera) all’onestà intellettuale che è presupposto dell’attendibilità, vero architrave di una guida, secondo le parole di Petroni. Guardando di sghimbescio a quei grandi cuochi, espressione della grande cucina italiana (tutti, si badi bene hanno cominciato tra i fornelli), che hanno ceduto un po’ troppo alle sirene della tivù e delle réclame. «Attenti ai cuochi da baldacchino», ammoniva già a suo tempo Pellegrino Artusi...

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