musica

Il grande giorno del concerto di Ligabue al Palaonda

Il rocker di Correggio arriva per l’attesissimo live in cui attraverso il suo concept album «Made in Italy» racconta il Paese


di Daniela Mimmi


BOLZANO. Tanti lo amano follemente. Altri gli preferiscono Vasco Rossi. E tra le due “tifoserie” c’è sempre stata una battaglia, incruenta, a suon di tifo da stadio. Ma spesso senza mezzi termini: chi ama uno detesta l’altro. Da sempre. Eppure, sia per chi lo ama che per chi non lo sopporta, Ligabue, è di lui che parliamo, non si fosse capito, ha creato la colonna sonora di una intera vita, dato che il suo primo album, «Ligabue» è del 1990. Da allora il musicista emiliano ha realizzato 20 album, ha scritto 5 libri, girato due film e fatto infinite tournée con più di 700 concerti.

L’ultima, «Made In Italy - Palasport 2017», questa sera farà finalmente tappa (dopo il rinvio forzato, rispetto alla data inizialmente fissata al 19 aprile, per l’operazione alle corde vocali) anche a Bolzano, al Palaonda, inizio alle ore 21. “Made in Italy” è anche il titolo dell’ultimo e ventesimo album di Ligabue, in cui "interpreta" un personaggio di fantasia, Riko, alle prese con una crisi personale, ideale e politica nell’Italia di oggi. A lui è dedicata la canzone "Mi chiamano tutti Riko". Lui vuole parlare solo di Riko e di questo disco, quindi: chi è, realmente, Riko?

«Riko, il mio secondo nome è Riccardo, è il mio alter ego, rappresenta una mia vita parallela, quello che sarei stato se non fossi Ligabue. Mi permette di dire quello che penso con maggiore libertà».

Sono passati 4 anni dal suo ultimo disco, «Mondovisione», a parte il doppio live «Giro del mondo». Come mai ha aspettato tanto a pubblicare questo «Made in Italy», al centro del concerto odierno?

È stata dura aspettare, anche perché avevo voglia di tornare, di raccontare il mio disco, che non è un disco politico ma l’espressione di un sentimento non risolto, di un amore non corrisposto verso l’Italia, della frustrazione verso tutto ciò che non funziona. Ma questo non ha a che fare né con la sinistra né con la destra. Sono deluso: avevo creduto che fosse possibile che la politica si occupasse degli ultimi, che non li lasciasse indietro. Ma sono contento di aver avuto quella illusione. Quelli come Riko non hanno voce, non c’è nessuno che li racconti. L’ho fatto io con «Made in Italy». Ho scelto di raccontare la storia di un operario “irrisolto” perché appartiene ad una di quelle categorie che oggi non hanno voce. Il trauma di una manganellata durante uno scontro di piazza lo manda all’ospedale, ma l’esperienza finisce col renderlo consapevole che non esiste lotta di classe senza sentimento, né rivendicazione senza condivisione delle aspirazioni con la persona amata.

Riko può essere quindi più o meno chiunque di noi?

Riko è uno di noi. Un 45enne che sta così così, che non ne può più delle ingiustizie fiscali e sociali di questo Paese, che si sfoga il venerdì, serata in cui non vuole rotti i coglioni, torna a casa, sente il rubinetto che perde, il letto che cigola e capisce che la sua vita matrimoniale cade a pezzi così come la sua casa. Vede gli amici licenziati e trae un sospiro di sollievo: “Non è toccato a me”. Si arrabbia perché vede vincere banche e speculazioni, manifesta per strada, viene colpito e ferito, curato da una dottoressa sexy, vive i suoi 15 minuti di popolarità. Ritorna con la moglie, ripercorre la sua seconda luna di miele in lungo e in largo per lo stivale. La distanza fra i primi e ultimi non è più accettabile come un tempo e la parola insieme è stata travolta dalla demagogia. Oggi la forbice fra chi ha tutto e chi non ha nulla è completamente divaricata. Eppure l’illusione di poter riparare ai torti ha fortificato la mia generazione e quella prima.













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