Le tele di Sgarbi a Castel Caldes 

La Collezione Cavallini Sgarbi. Ieri l’apertura della mostra Ad ospitare le opere dei fratelli Vittorio e Elisabetta, è Castel Caldes


Danilo Fenner


Trento. Una conferenza stampa con Vittorio Sgarbi non è una conferenza stampa: non è neanche, a guardar bene, uno show come verrebbe facile dire. Perché uno spettacolo esige sempre qualcosa di artefatto, di pensato per il pubblico. Una finzione. Quello che invece è andato in scena ieri pomeriggio a Castel Caldes, poco prima dell’inaugurazione ufficiale della mostra “La Collezione Cavallini Sgarbi”, è stata una sorta di autobiografia di famiglia per due voci narranti: quella di Vittorio, il solito profluvio di parole e di parentesi nelle parentesi; e quella di sua sorella Elisabetta Sgarbi, fra i più noti editor italiani, fondatrice con Umberto Eco della casa editrice La Nave di Teseo, che ha pubblicato il catalogo della mostra. I siparietti con cui i due hanno abbondantemente condito l’incontro con la stampa - seduti l'uno alla sinistra e l'altra alla destra di Mirko Bisesti, assessore alla cultura della Provincia autonoma di Trento, quasi annichilito da cotanta presenza scenica - hanno restituito ai presenti l'atmosfera che evidentemente si respirava in casa Sgarbi a Ferrara (o perlomeno quel che fratello e sorella amano raccontare della loro infanzia).

In fin dei conti la mostra si sarebbe potuta intitolare anche più semplicemente "Casa Sgarbi”. Una casa di fatto trasvolata a Castel Caldes più o meno come - e l'ardito paragone è dello stesso Sgarbi - l'altra casa più famosa per la sua trasvolata dalla Palestina, la Casa di Nazareth a Loreto. Il paragone può sembrare un tantino blasfemo, se non fosse che Vittorio Sgarbi miscela continuamente sacro e profano in un divertissement che non manca di toccare anche l'attualità politica. Inevitabile ad esempio il riferimento a Salvini, un po' per onorare il governo provinciale e un po' per reale simpatia nei confronti del leader leghista: come quando, citando i discorsi pubblici con il rosario in mano, Sgarbi commenta citando a sua volta Benedetto Croce e il suo famoso “Perché non possiamo non dirci cristiani”. Le opere in mostra sono una ottantina. La metà di quelle esposte l’anno scorso nel castello di Ferrara, evento a proposito del quale Sgarbi ha avuto parole di fuoco contro l'amministrazione comunale (“vetero comunista astiosa”) rea di non avere prorogato ad libitum la mostra in quella che i due Sgarbi giudicano essere la sede ideale per mantenere in modo permanente la collezione della loro famiglia.

E’ una vera e propria “caccia all’arte” quella che il critico d'arte ha condotto su e giù per l'Italia negli ultimi quarant’anni e che ieri a Castel Caldes ha raccontato con dovizia di particolari, di aneddoti gustosi e di ulteriori siparietti con la sorella Elisabetta. I tre quarti d'ora dell'intervento di Vittorio Sgarbi sono scivolati via così fra racconti, piccole confessioni, spudoratezze e amene provocazioni. Impossibile ovviamente renderne conto nella ristretta sintesi nella cronaca giornalistica.













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