Roma dedica la Metro C al “partigiano nero” internato in via Resia 

Memoria. Intitolata una stazione a Giorgio Marincola, ucciso dai nazisti il 4 maggio 1945



Bolzano. Partigiano, antifascista e di colore, nell’Italia di Mussolini alleata della Germania nazista di Hitler. Non mancava il coraggio a Giorgio Marincola, figlio di un ufficiale italiano e di una donna somala, ammazzato a 22 anni da nazisti in val di Fiemme pochi giorni dopo essere stato liberato dagli americani dal campo di concentramento di Bolzano.

L'assemblea comunale della città di Roma ha approvato pochi giorni fa l’intitolazione della fermata della Metro C in via Amba Aradam alla sua memoria. Alla memoria del “partigiano nero” di origini italo-somale, internato nel lager di Bolzano e ucciso il 4 maggio 1945 a Stramentizzo, durante l'ultima strage nazista di civili sul territorio italiano. Una petizione online di 2500 firme aveva sostenuto questa intitolazione, rilanciata dallo scrittore Roberto Saviano. Ma il VII municipio di Roma guidato dall'ex-M5 Monica Lozzi aveva bocciato la proposta giudicandola “un'idea mortifera”. Si aggiunga che via Amba Aradam commemora la battaglia in cui l’esercito italiano sconfisse quello etiope nel 1936 e che si concluse con lo sgancio sugli abissini in ritirata di letali bombe all’iprite per ordine del maresciallo Badoglio. Una pagina oscura del colonialismo italiano, a cui la galassia antifascista ha contrapposto la figura di Giorgio Marincola, che sintetizza lo spirito della Resistenza, i crimini italiani nell'Africa Orientale e l'orrore degli eccidi nazisti contro le diretti civili.

Nato nel 1923 da un ufficiale italiano e da una donna somala poi ripudiata, Giorgio Marincola fu riconosciuto dal padre e frequentò il liceo Umberto I a Roma «Era un liceo popolare - osserva lo storico Lorenzo Gardumi -, in cui era forte la presenza del proletariato urbano poco incline al fascismo. Lì venne a contatto con le idee antifasciste del Partito d' Azione ». Decise di impegnarsi nella lotta partigiana: «Prima si impegnò come militante in clandestinità. Possiamo immaginare cosa significasse nascondersi per un uomo di colore nella Roma dell'epoca. Poi imbracciò il fucile sulle montagne di Biella». Catturato, finì nel campo di concentramento di Bolzano, dal quale fu liberato il 30 aprile 1945 con l’arrivo degli alleati.

30 aprile 1945

La guerra è quasi finita. In via Resia la Croce Rossa Internazionale prende in consegna il lager di Bolzano e libera i prigionieri, tra i quali c'è anche un giovane partigiano. Studente, membro del Partito d'azione a Roma, agente inglese in Piemonte. Gli altri internati tornano a casa. Lui, invece, si ferma per combattere gli ultimi nazisti. Si chiama Giorgio Marincola e non è un ragazzo come gli altri: ha la pella nera. La sua storia è raccontata in “Razza Partigiana”, libro di Carlo Costa e Lorenzo Teodonio. Maggio 1945. A Milano, il cadavere di Mussolini è già stato portato a Piazzale Loreto. A mille chilometri di distanza, chiuso in un bunker, Hitler si è tolto la vita inghiottendo una capsula di cianuro. La mattina del 5 maggio, però, a Stramentizzo e Molina di Fiemme Giuseppe Morandini e Quirino March vagano tra le case bruciate alla ricerca dei cadaveri dell'ultima strage compiuta dai nazisti in fuga. Contano almeno 27 morti. Fotografano anche un soldato mulatto. «Ufficiale medico sudafricano aggregato alla brigata Cesare Battisti», scrivono nel rapporto. Non riescono ad identificarlo. C’è un solo indizio: la sua uniforme ha i segni distintivi del lager di Bolzano.

Somalia 1936

Giuseppe Marincola è in partenza. Insieme a lui, sulla nave che lo riporta in Italia, ci sono i figli Giorgio, tre anni e Isabella, nata l'anno prima. Ashiro Hassan, la madre, è una bellissima somala che non può seguire l'uomo in patria. Inizia l'avventura dei giovani mulatti, entrambi italiani, perché Giuseppe, cosa del tutto inusuale per l’epoca, li ha riconosciuti quindici anni prima delle leggi razziali.

Giorgio cresce in Calabria, ma a quindici anni raggiunge Isabella e la nuova famiglia del padre a Roma. Al liceo incontra il professore Pilo Albertelli, antifascista liberale tra i fondatori del Partito d'Azione. È la svolta.

Mercurio

Quando scoppia la guerra Marincola frequenta la facoltà di medicina. Sotto i bombardamenti inizia a operare in città con i compagni del Partito d'Azione. I giorni dopo l'8 settembre sono convulsi. Albertelli viene ucciso alle Fosse Ardeatine. Giorgio ripara nel Viterbese e dà il suo contributo: attacchi ad autocarri tedeschi, minaggio di strade, scontri armati. A giugno Roma viene liberata, ma lui vuole combattere ancora e si presenta ai servizi segreti inglesi. «Sento la patria come una cultura e un sentimento di libertà. Per questo combatto gli oppressori ».

«Il colore della pelle - replica un ufficiale - non ti aiuterà, ma ci servono uomini». Arruolato. Giorgio diventa Mercurio e viene paracadutato vicino a Biella. «Vado a fare il mio dovere di italiano». Questo l'unico messaggio lasciato a Isabella. L'arresto e la prigionia All'inizio del'45 tra partigiani biellesi circola una voce: le forze nazifasciste preparano un rastrellamento. E, durante una perlustrazione, gli uomini del capitano Bell si imbattono in una colonna nazista e devono disperdersi. C'è anche Giorgio Fugge in treno, ma viene arrestato e, dopo una tappa a Torino, viene trasferito nel Durchgangslager di Bolzano.

Nel lager e alla Lancia

Sono gli ultimi giorni di febbraio. In via Resia Giorgio è registrato come Renato Marino. Numero di matricola 10388, terza baracca, Block C. Le giornate del giovane sono scandite dalla catena di montaggio della Lancia. Le notti, invece, sono squarciate dalla grida proveniente dal blocco celle, dove i due «boia» ucraini, Michael Seifert e Otto Sein, torturano i prigionieri. Una mattina i carcerieri portano alcune ebree nude nel cortile ed iniziano a bagnarle con l'acqua gelata fino ad un ucciderle. In fabbrica Mercurio entra in contatto con uomini del Cnl trentino. Insieme progettano l'evasione, ma la fine della guerra li anticipa. «È ignobile finirla così. Raus», dice Giorgio al compagno Vittorio disegnando in aria la frusta che li aveva martoriati per quattro mesi. I due si uniscono al Cnl di Cavalese. Devono fermare i nazisti in ritirata. Il 4 maggio arriva un’ambulanza dalla quale scendono due tedeschi con le mani in alto. Marincola abbassa le armi, ma dall'auto parte una raffica.

Nell'ultima carneficina delle Ss muore così l'unico partigiano nero della Resistenza italiana. «Sento la patria come cultura e libertà, per questo combatto gli oppressori».













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