«Stregato da Fellini, ho amato il cinema per tutta la mia vita» 

L’intervista. Dalla sala Latemar, gestita dal padre, alla nascita di Filmclub e Film Festival Martin Kaufmann, fresco 70enne, racconta la sua storia unica, da sempre legata alle pellicole «La soddisfazione più grande è stata portare a Bolzano Wim Wenders e Hanna Schygulla»


Daniela Mimmi


Bolzano. Il suo sogno, fin da giovane, era regalare all’Alto Adige un cinema senza barriere e senza frontiere, un cinema dove si parlasse italiano e tedesco, ma anche inglese. Adesso, a 70 anni, compiuti il 27 gennaio, Martin Kaufmann, ormai considerato il pioniere del cinema altoatesino, può dirsi soddisfatto. In città, durante il Bolzano Film Festival Bozen, che lui ha contribuito a creare, si possono vedere film di mezzo mondo, in tante lingue. E grazie alla sua caparbietà sono tante anche le celebrità arrivate in Alto Adige.

Kaufmann è nato nel 1951 e Nuova Ponente e fino al 1983 ha gestito insieme alla madre il Gasthof Goldenes Kreuz e contemporaneamente il cinema Latemar, dove ha scoperto la sua passione per il cinema. È stato uno dei fondatori del Filmclub di cui è diventato direttore nel 1983. Nel 1989 i cinema diventarono due, ovvero le due sale del Capitol, che adesso sono diventate tre. Fino al 2010 è stato il direttore artistico del Filmclub. In ottobre, il Capitol è stato l’unico cinema aperto in Italia grazie a una legge provinciale, lui ha continuato la sua programmazione ed è stata l’unica sala a proiettare “Caro diario” di Nanni Moretti. Tanto che lo stesso Moretti li ha chiamati. Tra le altre cose, Nanni Moretti è nato a Brunico perché la mamma faceva l’insegnante in Pusteria, e la sua casa di produzione si chiama, non certo a caso, Sacher. «Quando ci ha telefonato, ho pensato fosse uno scherzo. Mi ha detto che era molto contento che il suo film venisse proiettato al Filmclub, visto che le sale nel resto d’Italia non potevano farlo», ricorda Kaufmann.

Non era la prima volta che il regista prendeva il telefono in mano per chiamare il cinema bolzanino. «Era già accaduto alcuni anni fa. All’epoca rispose la segretaria e anche lei in un primo momento pensò a uno scherzo», aggiunge Kaufmann.

Oltre a tutto questo, Kaufmann ha collaborato anche con Renate Mumelter nella stesura di “Cinema. Film in Südtirol seit 1945”, pubblicato dalla casa editrice Raetia. Lo abbiamo intervistato.

Quando, in che momento e con che pellicola è nato il suo amore per il cinema?

Avevo 6 anni e mio padre gestiva il cinema Latemar. Lì mi sono visto tutti i film, sia tedeschi, in autunno e primavera, sia italiani, in estate e inverno quando arrivavano i turisti italiani. Mi sono innamorato del cinema guardando “Sissy” e “I magnifici 7”, “La dolce vita”, “Amarcord” e “ 8 e 1/2” di Fellini, tutto il neorealismo italiano, “Taxi driver” di Martin Scorsese con Robert De Niro. Non mi piaceva lavorare in albergo, portavo al massimo i caffè e scappavo al cinema di mio padre. Poi, quando avevo 13 o 14 anni, sono andato a mettere su le pellicole al Cinema Eden.

È un amore che l’ha mai tradita?

No, mai. Il cinema è un amore che non tradisce. Basta saper cercare.

Cinema in due lingue a Bolzano: quali sono stati gli scogli più difficili da superare? Chi era più restio? La politica o gli spettatori?

Non ho mai pensato alla politica, e ho sempre cercato di dare il meglio del cinema, di qualunque lingua. Le lamentele ci sono sempre: troppi film in tedesco, troppi film in italiano…

La sua più grande soddisfazione?

Aver avuto a Bolzano Wim Wenders e Hanna Schygulla, Cristian De Sica che stava girando un film qui in Alto Adige ed è venuto al Capitol perché avevamo in programmazione “Ladri di biciclette” di suo padre. E Margarethe von Trotta che mi ha mandato gli auguri per il mio compleanno. Per non parlare di Fred Zinnemann che era molto contento di venire Bolzano per poter conoscere Luis Trenker. Eravamo al Laurin con Wim Wenders e quando gli ho detto che Zinnemann era stato nostro ospite, mi ha detto: “Noi lo abbiano avuto a Berlino nel ’95 e voi nell’84?”. Allora è venuto anche lui. E infine una grande soddisfazione è stata aver dato vita a un Festival del cinema a Bolzano che di anno in anno è sempre più importante a livello europeo.

Secondo lei come sarà il prodigo Festival del Cinema bolzanino “ibrido”?

Ancora non sappiamo niente, aspettiamo di sapere qualcosa in 5 marzo. Faremo quello che potremo in base alle direttive. Del resto è stato fatto online anche il Festival di Torino e forse sarà online anche quello di Cannes.

Che cos’ha il cinema che la televisione o il computer non potranno mai avere?

I rumori, gli odori, l’atmosfera, quello che arriva in ritardo, i commenti nel foyer, gli scambi di opinioni. E infine la resa tecnica, che non è paragonabile al più bell’impianto video del mondo.

Ha realizzato il suo sogno di un cinema sudtirolese senza barriere e senza confini?

In parte sì. Adesso il mio sogno sarebbe dedicare la sala tre del Capitol ai classici. Vorrei riproporre la nouvelle vague e il neorealismo, Fellini e Taxi Driver…















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