la storia

«Vi racconto l’incubo Ebola in una Liberia allo stremo»

La bolzanina Alessandra Tisot lavora per l’Onu dal 1988 ed è rientrata da poco da Monrovia «Laggiù serve tutto, ho visto famiglie forzare la zona di quarantena perchè lì almeno c’era cibo»


di Alidad Shiri


di Alidad Shiri

Alessandra Tisot, bolzanina, ha iniziato a lavorare per l’Onu nel 1988, con un incarico in Gambia, un paese di cui conosceva solo l’esistenza e niente più, , afferma. In seguito, dopo un breve periodo alla sede di New York, è stata assegnata alle sedi in Laos, in Tanzania, nuovamente in Laos, in Nepal, Cina, Etiopia e Ucraina. Ha fatto questo percorso con incarichi e responsabilità crescenti e ha raggiunto il livello di dirigente responsabile delle varie agenzie presenti in un Paese.

Le abbiamo chiesto di parlarci del suo impegno attuale in Africa e del problema Ebola: quali i rischi del contagio sul posto; come funziona l’assistenza sanitaria; quali sono gli interventi possibili attualmente e quali sarebbero necessari.

È sufficiente il contributo di personale sanitario inviato dall’Italia e da altri Paesi occidentali?

«Recentemente mi hanno richiesto di raggiungere i colleghi in Liberia per l’emergenza Ebola e mi sono recata a Monrovia. Ebola è una drammatica realtà che deve essere presa in considerazione con serietà, urgenza e in maniera comprensiva, non si può pensare di isolare uno o due aspetti di quello che costituisce l’emergenza. La strategia regionale (per l’africa occidentale ed i tre paesi più colpiti) e la strategia globale sono state formulate da mesi. La risposta da parte della comunità internazionale però è ancora lenta e spesso inconcludente, sicuramente non adeguata».

Cosa comporta in termini pratici questo ritardo?

«Panico, disinformazione ed una risposta frammentaria non faranno che aumentare il rischio con conseguenze sempre più disastrose che includono instabilità politica ed economica nei paesi affetti, costi di contenimento sempre più elevati, rischi di utilizzazione del virus a scopi di bio terrorismo di cui non possiamo nemmeno immaginarci le conseguenze in caso dovesse veramente accadere. Organizzazioni non governative e voglio fare menzione di Medici Senza Frontiere in primo luogo, ma molte altre, comprese quelle italiane, stanno facendo un lavoro encomiabile affiancando governi nazionali, locali e le Nazioni Unite e tutta le communita’ e popolazioni locali. E’ necessario che ognuno di noi, anche a livello individuale faccia la sua parte. Innanzitutto documentandosi sulle modalità di trasmissione e contagio: mascherine, non accettare bambini africani negli asili, cambiare posto nell’autobus sono azioni insulse e controproducenti».

Che cosa è necessario allora?

«Una buona dose di solidarietà ma soprattutto realismo sono necessarie. I confini devono restare aperti, lo stato di sensibilizzazione e allerta adeguato alla gravità della crisi, una crisi che richiede la risposta globale, con realismo e solidarietà. Le stime del CDC americano arrivano ad 1.4 milioni di contagiati per inizio anno».

Ma, realisticamente, la Liberia è in grado di fare fronte, come è accaduto con successo in Nigeria, ad un'emergenza di questo tipo?

«La Liberia, esce da un periodo di quasi 14 anni di guerra civile che ha distrutto non solo il capitale umano ma anche quello sociale ed economico. Conta oggi circa 4 milioni di abitanti, un reddito pro capite annuale di circa 750 dollari, la percentuale della popolazione sotto la soglia di povertà estrema calcolata a 1 dollaro al giorno è del 50%, il tasso di alfabetizzazione raggiunge al massimo il 50%. La struttura dell’economia fra servizi, agricoltura e concessioni minerarie e forestali costituisce l’ 82% del prodotto interno lordo. Le concessioni nel settore forestale e minerario che vanno dai giganti industriali quali Arcelor Mittal a Chevron e ditte di punta nel settore della gomma, hanno chiuso battenti, il management internazionale è stato evacuato all’inizio di giugno e il personale locale rimane senza stipendio. Mercati e commerci interni bloccati, campagne deserte, costi di trasporto altissimi, commercio via mare limitato impedendo l’arrivo di derrate alimentari ma anche di carburante nei porti, per paura di contaminazione del personale».

Una situazione drammatica, di cui in Europa non c'è forse ancora piena consapevolezza.

«Ho assistito di persona ad un episodio agghiacciante di una intera famiglia che ha forzato le griglie di entrata del centro di quarantena perché’ “almeno lì, distribuiranno da mangiare”. I costi di contenimento del contagio, del trattamento delle diverse tipologie dei contatti, della macchina logistica richiesta, sono enormi ed è chiaro che la Liberia non può fronteggiare da sola la crisi Ebola, non ha risorse, né umane, né finanziarie né organizzative ed istituzionali per uscire da una crisi di tale entità. Pur tenendo nella dovuta considerazione e nel rispetto intellettuale, gli argomenti dei cittadini nel mondo che non sono convinti che il battere d’ala della farfalla in Amazzonia scateni l’uragano in Texas, o di quant’altri i quali possano attribuire un valore diverso alle vite umane a seconda della loro provenienza geografica ed etnica, sapete quanto costa Ebola all’economia globale?»

Proviamo a rispondere, per quanto sia difficile.

«No, non è così difficile. E’ previsto che si aggiri intorno ai 32 miliardi di dollari con costi direttamente imputabili alle economie dell’Africa dell’ovest, ma il fattore panico comporta un aumento molto più elevato ed imprevedibile, per esempio, per le compagnie aeree, per il settore turismo, energetico, per i servizi, tanto che avrà ripercussioni sull’economia globale. Servono più fondi, più medici ed infermieri ma anche tanto personale operativo per sostenere la rete logistica necessaria alla distribuzione dei viveri alla popolazione in quarantena ma anche alla popolazione più vulnerabile, per contrastare i grossi costi e la mancanza fisica di cibo. Servono incentivi finanziari per il personale medico locale che continua ad andare a lavorare nonostante i forti rischi, servono i servizi per chi di Ebola non soffre. Una madre che deve partorire ormai non sa più dove andare, tutte le strutture sono requisite o possono essere contaminate, cosi per ogni altro caso medico che non è collegato al caso Ebola».

Che altro serve, ancora?

«Servono inceneritori, tende, letti, tute protettive, disinfettanti in quantità e volumi importanti. Serve rinegoziare i diritti attribuiti dal governo liberiano ai titolari di concessioni quali quelle estrattive, ritrattarne le condizioni includendo delle strategie per mitigare e monitorare i rischi di contagio sul posto di lavoro, serve rifare ripartire l’economia. Le scuole e gli uffici pubblici sono rimasti chiusi dal primo luglio. Avete presente cosa vuol dire tenere i bambini ed i ragazzi in casa lontani dalla scuola per tutto questo tempo? Non solo le difficoltà logistiche ma anche il danno arrecato all’istruzione, ai valori sociali. Servono assistenti sociali per il supporto psicologico della popolazione perché Ebola è una crisi che traumatizza, a parte la paura del contagio c’è un totale sovvertimento delle norme sociali e culturali».

Ecco, questo è un punto delicato che va molto oltre la semplice, terribile, conta dei morti e dei contagiati. Ebola sta distruggendo anche un modo di vivere, una cultura.

«In Africa il tessuto sociale, i riti, le feste religiose e non sono punti di aggregazione molto forte. Ora tutto questo è stato proibito, c’è il coprifuoco e il divieto, c’è il sospetto e la paura. I soggetti contaminati sono prelevati dalle case da personale medico in tute spaziali e di loro poi non si avrà più nemmeno il corpo, sarà cremato, nessun può avvicinarsi. Una tragedia sanitaria, umana, sociale, economica che lascerà traccia per decenni. L’intera mappa della povertà in Liberia ma anche in Africa occidentale dovrà essere ridisegnata, perché’ si può prevedere che anche una grande parte delle capacità e delle competenze professionali acquisite nella società economica della Liberia dalla fine del conflitto, sarà spazzata via. Ed in fine servono i vaccini, al più presto, vaccini il cui prezzo dovrà essere regolato da accordi internazionali molto rigorosi, con l’intervento dell'Onu o del Wto, l'Organizzazione mondiale per il Commercio».

Da questo punto di vista Ebola segna un punto di non ritorno.

«Ebola nella sua complessità e drammaticità presenta una situazione completamente nuova, i connotati dell’emergenza sono assolutamente unici. Con le emergenze climatiche per esempio si agisce dopo l’evento traumatico, dopo il terremoto, dopo il ciclone o l’uragano, si agisce secondo principi umanitari nelle prime fasi, poi si valutano i danni, s’incomincia ad intervenire sul medio e lungo termine. In questo caso invece siamo nel mezzo del terremoto e dell’uragano e dobbiamo avere le capacità di agire per il presente, medio e lungo termine mentre la terra trema».













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