IL LIBRO

"Zona rossa", il viurs Ebola raccontato da Emergency

Sabato 17 ottobre a Bolzano il medico contagiato in Sierra Leone e guarito



BOLZANO. Non capita a tutti di essere un “caso zero”. Il primo a contrarre il virus. Il primo a “sentire la luce che si spegne” in un letto d'ospedale. E poi il primo a raccontarlo, quando la luce si riaccende e si torna a vivere. Il primo è stato Fabrizio Pulvirenti, medico catanese, volontario di Emergency in Sierra Leone. E il virus si chiama Ebola. Adesso fa meno paura anche se non si sa bene se sia ancora lì, nell'aria, magari a mutare aspetto, a mimetizzarsi per essere pronto a ritornare letale. Come in quei mesi del 2014. Pulvirenti sapeva cosa succedeva lì, in quei lembi d'Africa dove in ogni villaggio si contavano i morti. A migliaia. E sapeva anche che il virus non perdonava.

«Ma sono partito - dice adesso - perchè se non ci vanno quelli di Emergency in quei posti, chi ci andrà mai, ho pensato...E poi ho pensato anche che magari non sarebbe capitato proprio a me». E invece sì. Lui è arrivato nell'ottobre del 2014 in Sierra Leone e in novembre è stato contagiato. Il 24 novembre. Lo hanno fatto partire da Lakka per l’Italia, dove è stato curato allo Spallanzani di Roma, clinica specializzata in malattie infettive. Primo caso, prima esperienza anche per i medici romani. «Ma bisogna fidarsi dei medici - dice ora Pulvirenti- affidarsi a loro». E poi, basta? «No, bisogna anche non smettere mai di lottare».

La guarigione 37 giorni dopo, nel gennaio di quest’anno. Oggi quella straordinaria esperienza umana e medica ma anche il coraggioso impegno di Emergency è un libro: “Zona Rossa” (Feltrinelli) scritto da Gino Strada, il fondatore del gruppo senza frontiere, con Roberto Satolli e, appunto, l'esperienza di Fabrizio Pulvirenti. Il libro sarà presentato sabato 17 ottobre idalle 10.30 alla libreria Cappelli di Bolzano. Doveva essere presente lo stesso Pulvirenti. Forse non farà in tempo. Sicuramente ci saranno i volontari di Emergency, perchè il ricavato sarà per il loro lavoro.

L’odissea di Pulvirenti ci racconta infatti due cose. La prima è che quando la scienza degli uomini e il coraggio di un uomo si mettono insieme tutto può succedere, la seconda è che Ebola ci ha fatto capire tante cose. E' stato uno spartiacque, il virus. Tutto il mondo ha tremato per lui. Uscito dalle foreste dell’Africa ci è arrivato in casa. E per la prima volta gli occidentali hanno guardato alle catastrofi umanitarie del terzo mondo non con gli occhi distratti di chi sa che le distanze sono tali da comunque preservarlo dall'impegnarsi. Ma con la paura di chi teme che la catastrofe possa infine bussare alla porta del proprio appartamento.

E poi c'è Emergency. Che di solito corre dove gli altri non corrono. In mezzo a guerre dimenticate. Come quella civile che stava insanguinando la Sierra Leone. E i medici di Strada e gli infermieri, si sono trovati nel mezzo dell’epidemia. Novemila morti. E niente che facesse pensare che si poteva fermare. Se non l'impegno quotidiano di salvare il salvabile. E di stare lì, lì in mezzo. E di starci anche dopo che uno di loro era stato contagiato.
Il segreto? “Lottare comunque” dice Pulvirenti “pensando che non si è mai soli”.
 













Altre notizie

Lo studio

Bolzano è la regione più «mother friendly» per Save The Children

Dal rapporto si evince che in Italia una lavoratrice su cinque esce dal mercato del lavoro dopo la maternità; il 72,8% delle “convalide” delle dimissioni riguarda le donne; in calo la media dei figli per donna (1,20) e l’età media al parto (32,5 anni) è la più alta d’Europa

Attualità