«Legge sugli appalti, in Alto Adige assenti le clausole sociali»

Buonerba: «Le imprese che non rispettano gli standard dovrebbero essere escluse dalle gare oppure controllate»


di Maurizio Dallago


BOLZANO. «Le clausole “sociali” nel settore degli appalti sono indispensabili, ma dimenticate». Lo afferma il sindacato Cisl in merito alla recente direttiva europea sugli appalti che contiene una serie di articoli attraverso cui il legislatore comunitario ha posto al centro dell’attenzione degli Stati membri la tutela del lavoro e quella ambientale. «Questa settimana andrà in consiglio provinciale la legge omnibus sul sociale nella quale è contenuto il depotenziamento dell’ispettorato del lavoro», afferma la Cisl/Sgb. «Un errore», aggiunge il segretario del sindacato, Michele Buonerba.

«Sia a livello provinciale che nazionale successivamente, la stessa attenzione non è stata posta. In generale vediamo che il lavoro, nella forma tutelata che abbiamo conosciuto nella seconda metà del Novecento, ha un riconoscimento sociale in continua riduzione. I dati, anche quelli pubblicati recentemente da parte dell’Inps, confermano le nostre ragioni», ancora Buonerba.

Cosa chiedete alla giunta provinciale?

«Noi abbiamo un’idea diversa e almeno per il lavoro in appalto, quello finanziato con la fiscalità generale, che esso debba essere tutelato. Purtroppo dobbiamo rilevare che il legislatore sia provinciale che nazionale dimostra una certa allergia all’introduzione delle cosiddette clausole sociali nell’ordinamento di competenza».

Di che cosa si tratta?

«In modo semplificato potremmo dire che le imprese che non rispettano determinati standard sociali e ambientali debbano essere escluse dalle gare oppure non pagate fino a quando questi standard non sono garantiti durante l’appalto. Ad esempio se un appaltatore non dimostrasse che la quantità di manodopera impiegata nell’esecuzione dell’opera, del servizio o della fornitura sia quella stimata, dovrebbe essere controllato».

Cosa è stato fatto?

«A livello provinciale una generica dizione per gli appalti di servizi attraverso la quale l’operatore economico deve indicare, solo nell’offerta, l’entità del costo del personale tenuto conto dei contratti nazionali e territoriali. Se poi non fa nulla di quello che si è dichiarato non sono previste procedure di verifica. Negli appalti di servizi, cosiddetti “labour intensive”, come ad esempio le pulizie o l’assistenza alle persone, il costo della manodopera è quasi il valore della commessa. Se non si prevede alcun controllo che sicurezza sociale si garantisce?»

Sembrerebbe poco rispetto all’universo-lavoro?

«Sì, in primo luogo è stato del tutto ignorato il principio della direttiva secondo il quale andavano premiate, nella valutazione della qualità, le aziende che avessero dimostrato una forte propensione al sociale. Avevamo proposto di inserire nella legge il principio che poi si sarebbe potuto attuare con un regolamento di attuazione. Anche per questo la Provincia ha dimostrato di non aver alcun interesse».

Cosa proponete come sindacato?

«Come per i servizi non ci sono norme prescrittive e questa è una grave lacuna che cercheremo di colmare con le linee guida. Fino ad oggi la maggioranza ha scelto di accontentare in tutto le associazioni economiche dimenticandosi che la tutela del buon lavoro è una condizione essenziale per generare una buona società. Considerando che gli appalti rappresentano una voce di spesa disaggregata pari a 2 miliardi all’anno, comprendiamo la portata del valore sociale di questa legge».

A livello nazionale è diverso?

«A livello nazionale, in attesa del pronunciamento del Consiglio di Stato e della Conferenza Stato- Regioni in merito alla compatibilità con le direttive comunitarie, il testo approvato ad aprile è comunque lesivo per i lavoratori. Infatti si prevede che le clausole sociali, nel rispetto del diritto comunitario, possano essere introdotte a discrezione della stazione appaltante».

E quindi?

«In conclusione come organizzazioni sindacali, se vogliamo dare un nuovo valore al lavoro, dobbiamo continuare a pressare il legislatore. In buona sostanza sarebbe sufficiente recepire nel nostro ordinamento quanto già previsto a livello europeo».













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