Il Robin Hood d’Italia  «Mai avrei pensato ad un oro ad Atene 2004» 

Cappellino da pescatore, occhiali da professore, un pizzetto quasi accennato, timido e silenzioso, simpatico e icona del suo movimento, freddo e preciso a far scoccare le frecce dal suo arco magico....



Cappellino da pescatore, occhiali da professore, un pizzetto quasi accennato, timido e silenzioso, simpatico e icona del suo movimento, freddo e preciso a far scoccare le frecce dal suo arco magico. dal 19 agosto del 2004 – son già trascorsi 16 anni – è il “robin hood d’italia”. sangue padovano trapiantato per amore tra le colline torinesi di cantalupa, quel giorno è diventato il primo arciere della storia italiana a conquistare l’oro olimpico a livello individuale. mai nessuno prima di lui, nemmeno il pioniere giancarlo ferrari due bronzi in cinque partecipazioni olimpiche tra gli anni ’70 e ’80, riuscì nella fantastica impresa.

Tutto questo e molto altro è marco galiazzo, l’uomo che ha fatto conoscere al popolo italiano l’arte e le emozioni del tiro con l’arco, l’atleta devoto al suo sport lontano dai reality e show televisivi. è bastata quella vibrante finale olimpica di atene a farlo diventare personaggio. in quell’olimpiade che regalò allo sport azzurro 32 medaglie, l’oro di galiazzo era stato il quarto in ordine temporale dopo quelli di paolo bettini nella prova in linea di ciclismo, aldo montano nella sciabola e valentina vezzali nel fioretto in quella drammatica finale tutta casalinga contro giovanna trillini.

Quel giorno marco galiazzo aveva appena 21 anni: era alla sua prima partecipazione olimpica ma non era nuovo nel mondo delle frecce. l’anno prima aveva contribuito alla conquista del bronzo iridato a squadre e due anni prima si era laureato campione del mondo indoor nella metropoli dei casinò e delle luci, las vegas. nel ricco medagliere di galiazzo ci sono altre due allori a cinque cerchi, entrambi con la squadra. si tratta dell’argento di pechino 2008 assieme a mauro nespoli ed ilario di buò (oggi tecnico della nazionale giovanile), e soprattutto dell’oro di londra 2012 con nespoli e michele frangilli, ancora oggi papabili per partecipare ai giochi di tokyo.

Certo, il trionfo allo stadio ateniese di kallimarmaro, quello della prima edizione dei giochi olimpici dell’era moderna del 1896, resterà nella storia dello sport italiano.

«arrivavo dalla vittoria ai mondiali indoor di due anni prima ma mai avrei pensato di vincere l’olimpiade – ricorda galiazzo al nostro giornale ripercorrendo quel giorno –. era stata una giornata lunga, faceva caldo. terzo nelle qualificazioni, avevo trovato difficoltà ai trentaduesimi contro il messicano juan rene serrano battuto per un punto. fino ai quarti la progressione è stata abbastanza tranquillo, poi semifinale e soprattutto finale sono state toste. il giapponese hiroshi yamamoto (bronzo a los angeles ’84, ndr) era avversario di grande esperienza».

Nel 2012 nello stupendo scenario del Lord's Cricket Ground di Londra lei ha contribuito a scrivere la pagina più bella del vostro movimento. Cosa ricorda?

È vero. Quell’oro a squadre con Frangilli e Nespoli è stato voluto e cercato, è stata una consacrazione del movimento, un momento bellissimo. Avevamo lavorato anni per centrare quel risultato e alla fine l’abbiamo raggiunto ma, quanta fatica contro gli Stati Uniti (219 a 218)!.

In una gara a squadre che approccio bisogna avere?

Varia da arciere ad arciere. Alcuni la prendono come una sfida perché se il compagno fa ‘10’ anche lui vuole fare a tutti i costi ‘10’. Altri, invece, pensano che se sbagliano c’è comunque l’altro che aggiusta – dice Galiazzo, 37 anni il prossimo 7 maggio –. A livello individuale non guardo mai l’avversario, eventualmente ascolto lo speaker ma comunque affronto prova dopo prova, un passo dopo l’altro.

L’Italia per le Olimpiadi di Tokyo, rinviate al prossimo anno, ha soli due atleti qualificati, un uomo e una donna, quali sono i prossimi passi?

I due posti sono stati ottenuti da Nespoli e Lucilla Boardi ma non sono pass individuali. Adesso dobbiamo qualificarci come squadra. La gara decisiva sarà la Coppa del mondo a Berlino ma non sappiamo ancora quando verrà inserita in calendario rivoluzionato dall’emergenza sanitaria. L’obiettivo è classificarci tra le prime tre Nazioni e quindi sfruttare la qualificazione anche a titolo individuale (per Galiazzo sarebbe la quarta Olimpiade). Tutto questo perché al Mondiale del 2019 abbiamo perso agli ottavi contro la Cina: una grande delusione.

Negli ultimi anni il tiro con l’arco azzurro sta soffrendo, soprattutto in chiave ricambio generazione, come valuta la situazione?

L’Italia è un po’ attardata rispetto alle altre Nazioni, questo non è un segreto. Forse bisognerà evolversi, anche i nostri tecnici guardano al resto del mondo. Nel tiro con l’arco le realtà più forti sono quelle asiatiche. Al momento servirebbero atleti più forti di noi e non al nostro pari, solo così si potrà crescere. C’è da lavorare ancora molto anche sull’approccio dell’allenamento – spiega il portacolori dell’Aeronautica Militare –. Abbiamo notato che una certa programmazione non rende sugli atleti giovani perché praticano questo sport più per gioco che per lavoro e soprattutto si accontentano. Più che un allenatore forse servirebbe uno psicologo.

In questo periodo di completa inattività, come si deve preparare un arciere?

Bisogna continuare ad allenarsi, proseguire con il programma magari nel giardino di casa dove si riesce ad avere una distanza anche di 70 metri.

Qual è il suo allenamento tipo?

Dipende sempre dal periodo. In alcune fasi tiriamo anche 400 frecce al giorno, in altre non più di 100. Fondamentale è il lavoro psicologico perché gli errori sono dovuti alla testa non per questioni tecniche: dopo vent’anni non ci si può permettere errori tecnici e vanno sempre migliorati prontezza di riflessi ed equilibrio.

A lei manca solo il titolo mondiale all’aperto, quale poligono preferisce?

Prediligo le gare all’aperto con il bersaglio a 70 metri anziché quelle indoor dove si tira a 18. All’aperto ci sono vari fattori, vento, solo, luce che cambia durante la gara, pioggia (in caso di fulmini la gara viene sospesa, ndr) e ovviamente l’esperienza. Le gare al coperto continuiamo a farle per mantenerci in allenamento.

Che spot lancia a chi vuole avvicinarsi al tiro con l’arco?

Dico di provare, è una sfida con se stessi, se si sbaglia si sbaglia da soli, non è colpa di qualcun altro.















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