Malagò: «Il calcio è da commissariare» 

Il nr. 1 dello sport italiano “congela” il sogno Olimpiadi delle Dolomiti: «Aspettiamo il nuovo governo e vediamo»


di Marco Marangoni


BOLZANO. Dal Palazzo H del Foro Italico alla Casa dello Sport nella conca di Bolzano, il cambio di location non muta il pensiero di Giovanni Malagò, sempre più convinto che per rasserenare il cielo tempestoso sul calcio italiano «serve un commissariamento». Il numero uno dello sport italiano, intervenendo con grande clamore ai festeggiamenti dei 20 anni della Casa dello Sport di Bolzano, non ha parlato solo della crisi del calcio, ma ha sottolineato il fatto che «lo sport altoatesino è un esempio per tutta l’Italia» e, nel visitare la scuola dello sport di Malles Venosta, è rimasto molto colpito affermando che è «modello assolutamente da seguire». Il presidente Giovanni Malagò, sempre benvenuto in Alto Adige, si è concesso ai nostri taccuini per parlare di calcio ma anche dello sport altoatesino.

Presidente Malagò, che ricadute economiche avrà la mancata qualificazione dell’Italia dai Mondiali in Russia?

«Lo sport italiano perde moltissimo. Siamo tutti un po’ più poveri. C’è un danno finanziario che intaccherà aspetti sociali, occupazionali, d’immagine, prestigio e reputazione. È vero che il calcio è uno sport come tanti altri, poi al lato pratico nel nostro Paese non è così per una serie di motivi che sono sotto gli occhi di tutti».

Secondo lei come uscirà il calcio italiano da questa impasse?

«Secondo me si deve uscire con un commissariamento, non dico lungo ma che debba veramente avere sia gli strumenti normativi, quindi i poteri, che temporali per far sì che si metta in condizione il calcio di esprimere una rappresentanza che possa fare e riesca a fare le cose e non essere sempre essere assoggettato a tutti quegli aspetti, soprattutto statutari che di fatto, da una parte ti obbligano a fare accordi con altri componenti che magari non vorresti fare o non sei così convinto di fare, dall’altra che poi ti impediscono probabilmente di fare l’interesse generale e vedere solo le questioni più da cortile».

La popolazione del Tirolo ha detto no alle Olimpiadi. Quanto c’è di realistico nella volontà di portare, tra il 2026 ed il 2030, le Olimpiadi in Italia? Si parla di Milano e Torino, anche se qualcuno prova a lanciare le Olimpiadi delle Dolomiti. Lei cosa ne pensa?

«Al momento la partita delle Olimpiadi invernali è accantonata, è in un cassetto. Ho sempre sostenuto la tesi, conoscendo molto bene la realtà dei fatti, che una candidatura, al di là della sua forza e della capacità di acquisire consensi e voti a livello internazionale, che è un aspetto del quale mi devo occupare dopo, è come un tavolo che poggia su tre gambe. Queste sono il comitato olimpico perché è l’interlocutore ufficiale con il Cio, gli enti locali, perché se non sono d’accordo la candidatura parte già morta in partenza, ed il governo. Dando per scontato, a prescindere dalla scelta della sede eventuale che si può considerate nell’arco alpino da Est a ovest, le prime due cose sono positive, rimane la terza che è il governo. Siccome ci saranno elezioni politiche vorrei evitare che venissero fatti nuovamente certi errori. Dopo le lezioni verranno fatte valutazioni serene. Visto il precedente che si è creato nel 2024 e 2028 con Parigi e Los Angeles penso che sia probabile una doppia aggiudicazione anche con i Giochi invernali».

Qual è lo stato di salute dello sport in Alto Adige?

«Lo sport altoatesino sta bene, magari fossero tutti gli altri sport come quello altoatesino».

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