Addio ad Anna Zorzi, la maestra che trattava i bambini da "grandi"



Anna  Zorzi nei primi anni Settanta

Anna Zorzi nei primi anni Settanta


Si è spenta a 90 anni Anna Zorzi, la «maestra Anna», amatissima da generazioni di bolzanini che hanno frequentato le Scuole “Dante Alighieri” di Bolzano dalla fine degli anni Sessanta ai primi anni Ottanta. Talmente amata che anche dopo la “licenza elementare” erano tanti gli alunni e le alunne che andavano ancora a trovarla. All’epoca la maestra “titolare” seguiva la classe dalla prima alla quinta, e a parte tedesco, faceva tutto lei. Era una seconda madre. Una presenza forte. Quindi, se ti andava bene, eri in una botte di ferro per 5 anni. Se ti andava male, ti rovinava la vita, e forse anche il futuro.

A chi ha avuto Anna Zorzi, è andata bene.

Nella scuola dei primi anni Settanta, ancora molto “classista”, la maestra Anna era una delle poche a non dividere i ragazzi tra quelli di “buona famiglia” e quelli no. Le “Dante” erano una scuola molto composita socialmente: c’erano i figli degli avvocati e della piccola borghesia, ma anche i figli dei fruttivendoli meridionali di piazza Erbe o degli operai edili e dei ferrovieri arrivati da mezza Italia negli anni ’50 e 60’. Per chi se lo ricorda, diverse maestre della sua generazione, nate sotto il fascismo, dispensavano attenzioni, impegno e pubbliche umiliazioni, a seconda del reddito e del dialetto dei genitori. Anna Zorzi no. Per lei, i bambini erano tutti uguali: maschi e femmine, figli di proletari o di ricchi commercianti, non c’era distinzione.

Tant’è che nel 2003, ormai in pensione, quando l’allora Sovrintendente Rauzi rispolverò l’idea di reintrodurre il grembiule, lei, a sorpresa, si disse favorevole perché «a miei tempi i bambini avevano la casacchina nera, le bambine un grembiulino, io mi trovavo meglio, perché così tutti erano uguali».

Tutti uguali, siete tutti uguali, capito? Un valore che “martellava” nella testa dei suoi alunni. Niente favoritismi, stesse possibilità per tutti, e «se avete qualcosa in più, dividetela con gli altri». La merenda, il gelato, le cento lire. In prima e seconda, in quegli anni, si bocciava che era una meraviglia. L’esame in seconda era peggio della maturità. Lei ti rincuorava, ti stava accanto. «È un passaggio della vita, imparate a superare le difficoltà senza farvi dominare dalla paura». Odiava bocciare. E stava male quando la bocciatura si innestava come una maledizione sul disagio sociale, piscologico e familiare di un bambino di 7 anni, povero e non seguito da genitori.

La “maestra” Anna aveva una forte passione civile che trasmetteva a bambini ancora piccoli ma già in grado di comprendere i fondamentali della vita. Se un tuo compagno ti menava, lei prima lo “raddrizzava”, ma poi ti chiamava da parte: «Non prendertela, non è cattivo... Dagli una possibilità». E così sono nate amicizie che durano ancora oggi.

Ricorda un suo alunno, Claudio Fila, quinta G del 1977: «La cosa sorprendente è che ti ascoltava, non aveva pregiudizi. Anche se la provocavi o dicevi cose “non conformi”, come a volte fanno i bambini con molta immaginazione, lei si sedeva e ti faceva parlare. Prendeva tutto sul serio. Gli adulti non capivano, lei sì. Era molto aperta. E molto avanti per quegli anni». Una passione civile che entrava in aula attraverso lezioni non convenzionali su temi di rilievo storico e politico. Forse è stata la prima ad invitare in classe la partigiana Nella Mascagni a parlare delle botte prese dalle SS nel lager di via Resia (argomento tabù all’epoca). E l’unica a far vedere a bambini di 7/8 anni le immagini girate dagli americani ad Auschwitz e Buchenwald.

O a farti leggere, in quinta, “Se questo è un uomo” di Primo Levi.

Il referendum sul divorzio (1974) era un tema di discussione con lettura dei giornali in classe. E se piagnucolando le dicevi «ma così mamma e papà si lasciano...», lei rispondeva dolce: «preferisci che stiano insieme per forza, facendo male a loro e a te?».

E ancora: il forte senso di giustizia sociale. Il mondo diviso in due tra ricchi e poveri, che «va cambiato». Subito. «E tocca a voi farlo, niente scuse, rimboccatevi le maniche».

Oggi qualche genitore la impiccherebbe alla campanella bollandola come “comunista”. In realtà, la maestra Anna era profondamente cattolica, credente e praticante, ma di quella stessa pasta che oggi vediamo in Papa Francesco.

Fisso nei ricordi resta l’11 marzo del 1976: in classe piomba come una bomba la notizia della tragedia del Cermis. Tra le lamiere dalla funivia sono morti degli adolescenti poco più grandi di noi. Anna Zorzi entra in aula con la prima pagina dell’Alto Adige, l’attacca alla lavagna. Spiega - a 25 ragazzini impauriti e in silenzio - la morte e il senso della vita. Non lo dimenticheremo più.

Buon viaggio, Anna.

E grazie.













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