Costituzione e Autonomia: due storie parallele



Hanno quasi la stessa età, la Costituzione e l'Autonomia. Ed è normale che dopo 68 e 70 anni, si ragioni sul riaggiornamento delle due "carte". La prima è l'articolata cornice che ha permesso all'Italia democratica di essere quella di oggi. La seconda - poco più di un foglietto, firmato da Alcide Degasperi e dall'allora ministro degli Esteri austriaco Karl Gruber - è la piattaforma che ha portato lontano l'autonomia di due territori che in questi anni sono profondamente cresciuti e cambiati. Alla Costituzione - ed è il messaggio sbagliato, persino devastante, che sta passando - Renzi vuol fare la festa. La seconda, nei giorni scorsi, è stata invece festeggiata a Trento e a Bolzano. Nel primo caso, ormai non è più importante il "come" (riformarla) ma il "se" (modificarla). Un classico italiano: si personalizza, si trasforma tutto in scontro, resuscita persino la curiosa alleanza fra D'Alema e Berlusconi - coppia che farebbe qualunque cosa pur di rompere il giocattolo di Renzi, senza cogliere che il giocattolo è il Paese - e si perde di vista l'obiettivo finale, che è il tentativo di cambiare le cose, rendendole prima di tutto più snelle. Sia chiaro, il tentativo appare maldestro per molte ragioni: un'accelerazione che rischia di spaccare il Paese senza a dare l'impressione di portare a un approdo sicuro e per così dire sufficientemente democratico. Ma la necessità di cambiare le cose può risultare stupefacente solo agli occhi di chi sa solo e sempre dire di no per impedire ad altri di realizzare ciò che lui (si chiami D'Alema, Berlusconi, Bersani o in mille altre modi) non ha saputo realizzare: dare all'Italia strumenti all'altezza degli anni veloci - citando il titolo di un bel libro di Carmine Abate - che stiamo vivendo. Ma non c'è più tempo per parlare del "come": un po' per colpa di Renzi, che ha una certa allergia rispetto alla parola confronto e ai tempi che questo si porta appresso; un po' per colpa di chi non ha mai voluto alzare, se non per ragioni che sono quasi sempre state viziate dal vizio dell'antirenzismo, il tema del dibattito. Meno diverso di quanto si possa immaginare il tema della nostra autonomia: tutti d'accordo sul "se" (si debba cambiare lo Statuto) i nostri politici hanno iniziato a parlare del "come" in ordine sparso: con due processi diversi nei due territori (la consulta a Trento e la convenzione a Bolzano, come è ormai noto a tutti) e con il rischio, non solo di allontanare ulteriormente il Trentino dall'Alto Adige, ma anche di rendere irraggiungibile il traguardo del Terzo Statuto. Perché Renzi ha capito molto bene una cosa: che certi processi si possono portare a termine solo a suon di strappi. Il dialogo, per quanto prezioso, rischia di far passare altri 70 anni.
E in fondo è questo il messaggio che doveva passare nelle celebrazioni dei giorni scorsi: l'Autonomia - come anche la vicenda dell'immediato e concreto aiuto ai terremotati ha dimostrato - è solida e sta bene. Ma è e resta provvisoria - per tornare a rilanciare il tema che questo giornale ha provocatoriamente lanciato ancora un anno fa e che la politica continua a non voler cogliere fino in fondo - se non sa darsi nuove gambe, nuove idee, nuovi e più ampi contesti (la Regione è ormai morta e l'Euregio sta se possibile anche peggio) e se non sa passare dalla difesa all'attacco. Del resto, per capire la precarietà della situazione, basta rileggersi ciò che ha detto la ministra Maria Elena Boschi a Tenna, rassicurando da una parte e creando nuovi timori dall'altra: Roma vuole il pallino in mano e non basta vigilare. Servono proposte nuove. E non è un caso che ad invitarla in un luogo a dir poco simbolico (a Tenna è nata la Margherita e qui Kessler ha lanciato più di una suggestione diventata poi un pilastro dell'autonomia) sia stato quell'onorevole Dellai che ha sempre cercato di riempire di politica l'amministrazione (e non viceversa) e che è tornato a porre con forza il tema delle periferie. Perché Trento e Bolzano, se non fanno attenzione, rischiano di tornare periferie all'improvviso, esattamente come rischiano di rendere periferici molti luoghi dei due territori che vanno invece resi continui protagonisti. La battaglia sugli ospedali è un esempio perfetto: decisioni palesemente giuste rischiano di trasformarsi in conflitti insanabili se vengono calate dall'alto e se non sono frutto di una politica in grado di parlare in modo nuovo (prima, non dopo) con i propri cittadini. Diciamolo con franchezza: con Kessler e Magnago, presidenti che sapevano guardare oltre il tema del consenso immediato, tutte queste fibrillazioni non ci sarebbero state. Perché avrebbero reso i territori protagonisti di questa e altre rivoluzioni. Erano altre epoche? Indubbiamente: di qui la necessità di non riformare solo le "carte", ma anche i modi di agire e i modi di stare insieme. Perché il Palazzo non deve aprirsi una volta all'anno, per la festa dell'autonomia, ma deve risultare di vetro ogni giorno. Diversamente, si rischia di fare la fine della Raggi: facile dire da fuori - in diretta streaming - che tutto è sbagliato; assai più difficile entrare nella stanza dei bottoni e - annullando ogni processo di trasparenza - farla funzionare. Rendere i cittadini protagonisti è ben altra cosa. E renderli consapevoli - e non tifosi di una parte o dell'altra, perché la Costituzione e l'Autonomia o sono di tutti o non sono di nessuno - è cosa ancora diversa. Ed è un misto di "se" e di "come", di processi condivisi e di accelerazioni che sono necessarie ma che non possono spezzare la provincia, la regione o il paese.













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