I 75 anni del nostro (e vostro) giornale



Mi emoziona parlare dei 75 anni dell’Alto Adige. Sento, sulle spalle e nei pensieri, le tante storie che questo giornale ha vissuto e raccontato, le vicende che ha attraversato e descritto. Le prime copie - a partire dal 24 maggio del 1945 - parlano di una città, di un Paese, di un’Europa e di un mondo da ricostruire. E quella ricostruzione, quell’entusiasmo, quella voglia di ripartire, di rialzarsi, di abitare il presente mentre si fa futuro, quella necessità - per usare una bella espressione che il poeta Bertolucci rubò a Proust - di inventarsi ogni giorno dal vero, hanno in un certo senso caratterizzato ogni attimo della vita di questo giornale.

Ogni giorno della vita delle tante colleghe e dei tanti colleghi che in redazione, in tipografia, in rotativa, in amministrazione e nella concessionaria di pubblicità hanno costruito le tante stagioni che oggi un po’ celebriamo e un po’ riviviamo. Non ho usato di proposito la parola festeggiamo: perché purtroppo il nostro compleanno arriva in giornate a dir poco difficili, anche se finalmente - dopo un’angoscia che non dobbiamo comunque sottovalutare - stiamo camminando verso la normalità. L’altra ragione che m’induce a non usare la parola festeggiare è però un’altra: la festa che vogliamo fare con (e per) voi lettori è solo rinviata. Ma la faremo: appena sarà possibile - è una promessa - ci ritroveremo, ci riabbracceremo. Perché non mi stancherò mai di dire che non c’è un confine fra la vostra storia e la nostra storia, fra questa storia di libertà, di democrazia, di parole preziose, di giornate e di nottate infinite, e la vostra sete di informazioni. In un giornale ci sono tante esistenze che si intersecano e che si incontrano. Le vicende umane dei protagonisti. Quelle dei testimoni, che ogni giorno con i fili dei loro articoli, in un telaio di pensieri, realizzano un arazzo sconfinato, capace di attraversare tempi, modi, luoghi, distanze, volti, successi, insuccessi, gioie, dolori e stagioni infinite. E quelle dei lettori che ogni giorno, di anno in anno, ci hanno rinnovato la fiducia e la stima.

Il giornale è una anomala e affascinante fabbrica di notizie che non chiude  praticamente mai. Una fabbrica di inchiostro e di carta che non può ovviamente lavorare per il consenso: perché  la più  scomoda delle verità (e dire la verità, come scriveva George Orwell, è un atto sovversivo) talvolta può risultare sgradevole o persino urticante, agli occhi di chi legge. Deve però essere scelto ogni giorno, il giornale:  grazie al patto non scritto fra voi lettori e noi dell’Alto Adige. Il patto che ogni giorno dà un senso al nostro lavoro.  E qui lasciatemi ringraziare anche gli edicolanti. La  loro continua presenza, la loro dedizione  e il loro impegno sono  stati ancor più preziosi, in questo tempo sospeso. Forse sono troppo romantico, ma mi piace ricordare  una frase di Ernest Hemingway. «La gran cosa è resistere e fare il nostro lavoro e vedere e udire e imparare e capire, e scrivere quando si sa qualcosa; e non prima; e, porco cane, non troppo dopo».

 Abbiamo visto, sentito, imparato e raccontato davvero tante cose, in questi anni. E non abbiamo perso il gusto di farlo. Grazie anche agli editori che in tutti questi anni  hanno investito e creduto in quella passione civile e in quella  libertà che hanno sempre accompagnato il nostro giornale.













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