Monguelfo, gli albanesi e l'Alto Adige: 25 anni di generosità



Come siamo cambiati, in 25 anni. L’Italia del 1991 era “Lamerica”, per dirla con il titolo del bel film di Gianni Amelio. Per la prima volta l’immigrazione, nel nostro Paese, non era fatta da chi si spostava dal Sud al Nord. Il fenomeno diventava globale: in pochi giorni, al porto di Durazzo, dopo il crollo della repubblica socialista, s’ammassarono 27 mila albanesi. Cercavano di fuggire in Italia: nel Paese dorato che avevano immaginato seguendo i nostri programmi televisivi del tempo, nei quali (ricordate?) bastava indovinare quanti fagioli ci fossero in un recipiente per diventare (o illudersi di diventare) ricchi.
Molti di noi hanno ancora negli occhi le immagini della nave Vlora che arriva in Puglia con a bordo ventimila clandestini. A Monguelfo, in una caserma Battisti ormai dimenticata, ne arrivarono (dal porto di Brindisi) 376. Loro avevano sguardi pieni di paura. Noi no: non temevamo le loro storie e non temevamo loro. Volevamo solo aiutarli. E quella solidarietà, quell’accoglienza, quella capacità di allungare la mano verso chi aveva sfidato la morte per cercare la vita, oggi, a distanza di 25 anni, non sono solo nella bella mostra inaugurata a Oltrisarco. Sono nelle parole del sindaco di Monguelfo di quella lontana stagione, Josef Pahl: «Feci ciò che andava fatto. Aiutare è un dovere. Per la cittadinanza all’inizio non fu facile, ma funzionò». Sono negli sguardi pieni di gratitudine degli albanesi che vivono qui da quel lontano marzo del 1991 (oggi oltre 3500, perfettamente integrati, solo a Bolzano). Sono nelle parole e nei ricordi dei giovani funzionari - come Antonio Lampis, oggi dirigente della cultura in Provincia - che si ritrovarono a gestire al commissariato del governo un’emergenza insieme nuova e imprevedibile. Sono nelle storie che Luca Fregona ha  raccontato  ad esempio sull'Alto Adige di domenica. Storie di integrazione. Storie di convivenza. Storie di successo e di generosità. Storie di dolore abbandonato e di amicizia ritrovata. Sono passati 25 anni e - lo dico prima di tutto ai tanti sindaci altoatesini che non intendono ospitare profughi - non possiamo essere così cambiati.













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