l’intervista 

Achammer: un periodo buio, ma molto è cambiato da allora

BOLZANO. Da quando Anton Zelger era assessore alla cultura tedesca al suo attuale successore, Philipp Achammer, sono passati tanti anni. I due appaiono, politicamente, come la notte e il giorno. Ma c’...



BOLZANO. Da quando Anton Zelger era assessore alla cultura tedesca al suo attuale successore, Philipp Achammer, sono passati tanti anni. I due appaiono, politicamente, come la notte e il giorno. Ma c’è pure questa idea nuova della convivenza a dividerli: e cioè che quando si fa qualcosa di notabile, oggi, si cerca di farlo insieme. Dallo slogan «meglio ci divideremo, meglio riusciremo a capirci» alla scritta illuminata sul duce a cavallo, a occhio, è cambiato il mondo. E infatti Achammer, Obmann della Svp e che siede alla destra di Kompatscher in questa rottamazione leggera che sembra aver investito Palazzo Widmann, dice questo: "Lo si poteva lasciare così, il bassorilievo. Lo si poteva invece togliere e mettere in un museo come ha suggerito qualcuno non troppo tempo fa. Il fatto che si sia lasciato invece al suo posto ma con un segno contemporaneo, penso sia dovuto al fatto che oggi, in Alto Adige, ci dovrebbe sempre essere una espressione visibile che le cose possono cambiare. E dunque, quando cambiano, e lo si decide insieme, mostriamolo. Ma senza toccare le opere, senza inciderle...". Quando l’assessore alla cultura dice che qualcuno avrebbe voluto toglierlo si riferisce, ad esempio, al comandante degli Schützen Thaler che, giusto lunedì, ha suggerito questa soluzione. O a un paio d’anni fa, quando fu lo stesso Durnwalder a proporre la musealizzazione del Piffrader. Naturalmente anche Achammer avverte le pressioni della destra di valle e di quella interna al suo stesso partito. Ma lui e Kompatscher fanno spesso tandem in questi passaggi. E, in ogni caso, anche mettere la sbarra di ferro con la luce è una scelta non di status quo.

Si poteva lasciare le cose come stavano, assessore?

«Cioè come sono sempre state, vuol dire...».

Appunto.

«Penso invece che i tempi nuovi abbiano bisogno di un’espressione visibile che qualcosa è successo. Naturalmente sono cosciente che in questi anni c’è stato un grande dibattito non solo a Bolzano, sulla sorte dei relitti fascisti. Sul come trattarli. Anche a Roma, giusto qualche mese fa, se ne è discusso ancora...».

Ma in Alto Adige è stato diverso. Qui i monumenti sono visti in due modi opposti.

«Ed è questo il tema. O si lasciava tutto com’era, come chiedevano molti, o si abbattevano, come hanno chiesto alcuni. Oppure si spostavano, come numerose persone proponevano. Ebbene, abbiamo scelto di non toccare le opere ma di immaginare come rendere palese questo nuovo patto tra i gruppi».

Come per il monumento alla Vittoria?

«Appunto. Con la differenza che nel bassorilievo c’è la scritta "credere, obbedire, combattere" a cui si sono ispirati i partecipanti al concorso di idee».

C’era il rischio che l’opera fosse spostata?

«Ammetto che in Provincia, io non c’ero ancora, se ne parlò seriamente».

Ma anche l’intervento luminoso è stato contestato...

«Posso capire. Ma qui subentra la scelta direi politica. Si è deciso di togliere al passato non le sue testimonianze ma la sua anima, per offrirne un’altra. Per dire ai giovani: mai più».

È un’operazione invasiva?

«Il meno possibile direi. Senza dimenticare che la scritta è spostabile. Ma insisto: si è scelto lucidamente di mettere qualcosa per rendere visibile una nuova dimensione della convivenza. E questo lo dico anche ai contrari dalla parte tedesca. Tutti devono capire che è finito il tempo delle vendette postume».

O, da parte italiana, della riproposizione acritica del passato?

«Questo devono dirlo gli italiani. Noi volevamo dare un segno, tracciare uno scarto tra ieri e domani. Dare un segnale. E cioè che le testimonianze non si abbattono più, né si toccano, anche quelle dei periodi bui, ma dobbiamo avere la libertà di dire che molto è cambiato da allora».

Dunque neanche togliere quel bassorilievo e portarlo in un museo sarebbe servito allo scopo?

«Penso proprio di no. Anche se fosse stato spostato, a parte le polemiche e le difficoltà pratiche, quella piazza sarebbe rimasta vuota e sarebbe, non so come dire...».

Stata il segno di una piccola sconfitta?

«Appunto, è così. Avrebbe mantenuto la sua anima divisiva anche priva dell’opera. (p.ca.)















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