autonomia provvisoria?

Acquaviva: «Proporzionale e limiti al voto fuori dal tempo»

La sferzata del noto sociologo: l’Europa avrà ragione delle vostre rigidità


di Paolo Campostrini


BOLZANO. Cinque anni fa aveva sentenziato: «L'Italia è un'invenzione di 150 anni fa». Era il 2010, altroché anniversario dell'Unità. Copyright Sabino Acquaviva, sociologo padovano. Che ieri era rintanato nel suo studio, computer sempre acceso nonostante sia della classe di ferro 1929. Professore, e l'autonomia? «Altra invenzione. Che almeno vi ha fatto ricchi. Ma non parliamo della Regione. Quella è stata creata come Frankenstein». Riecco Sabino, il teorico dell'enclave. Dell'Alto Adige diviso in due cantoni: un nuovo confine per risolvere i problemi, meglio delle opzioni. Il suo libro «Alto Adige, spartizione subito» fu un fulmine a ciel già non tanto sereno. Era il 1980: autonomia giovanissima e terrorismo da ultimi fuochi. Tedeschi e italiani - questa la sua tesi - andranno d'accordo solo se uno si afferma sull'altro. E dunque uno dei due diventa padrone. Tanto vale allora dividere immediatamente la provincia a metà, tutti gli italiani da Bolzano (compresa) in giù, con la Bassa, tutti i tedeschi a nord fino al confine. «Naturalmente - scriveva- nessuno sarà obbligato a trasferirsi. Solo che a sud si parlerà italiano, a nord tedesco». Facile, no? Apriti cielo. Anche perché quel libro non era un pamphlet partorito in una notte buia e tempestosa, ma una ricerca a due mani commissionata dai ministeri italiano e germanico e affidata per l'Italia ad Acquaviva e per la Repubblica federale a Gottfried Eisermann. Due docenti di chiara fama. La soluzione, come era naturale, non piacque a nessuno.

Sempre convinto della necessità di quel confine, professore?

«Ero convinto allora. Oggi non più».

Ha cambiato idea?

«Io no. E infatti aspettate che gli immigrati si iscrivano tutti alle scuole tedesche e vedrete quale sarà la percentuale degli italiani... No, intendevo che è cambiato il mondo. Confini come quelli proposti, confesso anche provocatoriamente, avevano una logica in una Europa di Stati. E di confini tra gli Stati. Oggi c'è un Europa dove i confini non servono più».

E l'autonomia? Ha avuto successo?

«Lo vedremo tra vent'anni. Io non ci sarò, farete i conti voi».

Ma oggi l'autonomia è sotto attacco, per molti mai così provvisoria...

«E' il destino delle soluzioni costruite. Dovrebbero adattarsi, ma spesso non lo sanno fare».

E dunque, che dovrebbe fare?

«Prendere atto che tutto è cambiato. E invece ancora lì a dibattere tra Roma e Vienna. Quello è il vecchio Statuto. Ora c'è l'Europa e in Europa non ci sono barriere».

Soluzioni per rinnovarsi?

«Guardare a questa assenza di confini. Io li volevo mettere, e va bene. Ma adesso sembra che l'autonomia non pensi ad altro che a metterli, i nuovi confini. Barriere, leggi restrittive, protezionismo. E invece per uscire vittoriosa dovrebbe allargarsi, spingersi fuori, cercare alleanze e aprirsi al nuovo. Giocare d'anticipo».

E gli Stati?

«Addio. Gli Stati sono reperti fossili. Oggi il futuro sono due appartenenze: l'appartenenza regionale e l'appartenenza europea. E io resto dell'idea che i valori regionali vanno protetti dall'invadenza dello Stato, ma che devono a loro volta poggiare su valori nuovi. Io proponevo il confine interno dentro la provincia di Bolzano perché intravedevo la possibilità di sopraffazioni, di inconciliabilità tra le diverse esigenze di crescita dei due gruppi. Adesso sarà l'Europa il riferimento e l'Europa penso che non tollererà forzature. Per questo l'unica possibilità è che ci si apra e si accolga».

Sarà un bello sforzo...

«Non vedo altrimenti come potrà sopravvivere ai nuovi assetti e alla globalizzazione un meccanismo come la proporz, ad esempio o gli ostacoli al diritto di voto e di libera circolazione delle persone».

Vecchio Statuto addio, dunque?

«Rischia di essere un fossile, come gli Stati che l'hanno partorito. Ma dico: ha un senso oggi la Regione? Non lo aveva prima, figurarsi ora. Ecco, questo è una prova dell'inadeguatezza dei vecchi schemi».

Riscriverebbe quel libro?

«Io analizzo la realtà. Come dovrebbe sempre fare un sociologo. Realismo e non ideologia. Allora era così. Oggi la realtà è cambiata. Il problema è che la vostra autonomia è rimasta quella di allora».

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