Adan ucciso da un’embolia polmonare 

Fu la frattura di entrambe le gambe a permettere a gocce di grasso di entrare in circolo. Nessuno se ne accorse


di Mario Bertoldi


BOLZANO. Fu un’«embolia massiva grassosa» a provocare il decesso del piccolo Adan Hussein, il profugo curdo iracheno di 13 anni , morto all’ospedale di Bolzano il 7 ottobre dello scorso anno dopo essersi fratturato entrambe le gambe cadendo dalla sedia a rotelle su cui era costretto a vivere. E’ uno dei pochi elementi certi emersi dall’incidente probatorio che ieri in tribunale di Bolzano ha vissuto una prima intensa udienza davanti al giudice delle indagini preliminari Emilio Schönsberg.

Siamo però solo alle prime battute anche se il collegio dei periti d’ufficio (Luca Brazzi, professore universitario di Torino e anestesista; Paolo Fonio, radiologo, docente sempre all’università di Torino; Sandro La Micela, medico legale e Mattia Barbareschi, anatomopatologo, entrambi di Trento) ha ieri illustrato nel dettaglio per oltre quattro ore il proprio elaborato che potrebbe risultare decisivo. La strada giudiziaria è ancora lunga. Sul registro degli indagati sono infatti stati iscritti dieci medici (in servizio in ortopedia, pediatria e terapia intensiva) che a vario titolo si occuparono del ricovero del piccolo Adan. Ma è bene sottolineare che la Procura della Repubblica prese questa decisione a tutela dei diritti di difesa, posto che un indagato ha la possibilità di seguire l’evolversi dell’inchiesta nominando un proprio avvocato ed eventualmente propri consulenti.

Per il momento, però, l’indagine non ha chiarito eventuali responsabilità personali dei singoli medici anche se il collegio dei periti d’ufficio sembra convinto che qualcosa nei due giorni di ricovero del ragazzino non abbia funzionato a dovere nei vari reparti del San Maurizio, se non altro perchè nessuno dei medici coinvolti riuscì a capire cosa stesse succedendo. E’ presto però per parlare di possibile negligenza di qualche reparto o di qualche operatore sanitario. In primo luogo perchè non esiste un esame specifico in grado di indicare un’embolia grassosa in atto. Alla giusta diagnosi, però, si sarebbe potuti arrivare con una corretta interpretazione di diversi sintomi.

Al centro del caso c’è una doppia radiografia. Il ragazzino curdo iracheno venne ricoverato all’ospedale di Bolzano il 6 ottobre dello scorso anno a seguito della frattura di entrambi i femori. Il paziente venne ingessato e sottoposto a controlli radiologici generali in quanto il respiro risultava affannoso.

Ne emerse un quadro non grave ma circa otto ore dopo una seconda radiografia di controllo evidenziò un sensibile peggioramento a livello polmonare. In effetti poche ore dopo (il 7 ottobre) Adan morì per insufficienza respiratoria. Nessuno dei sanitari riuscì però a capire che cosa stesse succedendo.

Solo grazie all’autopsia si riuscì a capire che a seguito della frattura dei femori, nel sangue del ragazzino erano entrate in circolo delle gocce di grasso (provenienti dal midollo) che avevano dapprima provocato delle occlusioni e poi un’embolia. Il quesito posto dal giudice ai periti è doppio: in primo luogo è necessario capire se i medici avrebbero potuto accorgersi di quanto stesse avvenendo; in secondo luogo si deve capire se fosse possibile fare qualcosa per salvare il piccolo paziente.

Ieri è stato più volte ribadito che l’embolia grassosa è difficilmente diagnosticabile ma ci sono una serie di sintomi che, analizzati complessivamente, potrebbero portare ad una individuazione dell’embolia in atto. Ieri i periti hanno anche evidenziato che per l’embolia grassosa non esiste una terapia specifica, ma esiste soltanto una terapia di supporto che nel caso di Adan non fu eseguita (in assenza di diagnosi corretta). In realtà il ragazzino curdo avrebbe potuto essere salvato? Il collegio dei periti d’ufficio ieri ha citato alcuni studi scientifici (effettuati su un campione limitato) secondo cui la possibilità di sopravvivenza è del 90 per cento. L’incidente probatorio, destinato a proseguire per almeno altre due udienze, è stato aggiornato al 19 settembre.

Dovrà anche essere chiarito se il percorso clinico successivo alla seconda radiografia (quella che evidenziò un sensibile peggioramento a livello polmonare) sia stato regolare. Sembra accertato che da parte del radiologo di turno venne segnalata una situazione anomala e preoccupante ma non è stato ancora possibile capire come fu in seguito trattato il caso. E’ però sicuro che non fu attuata alcuna “terapia di supporto” anti embolia grassosa. Ed il piccolo Adan poche ore dopo cessò di vivere. Ultimo dato emerso ieri: il consulente della Procura sarebbe giunto a conclusioni diverse da quelle sostenute dal collegio dei periti d’ufficio. Dimostrazione che il caso è estremamente complesso.

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