Awa la calciatrice, giocava in nazionale «Ora riparto da qui» 

È scappata a 17 anni, vive all’ex Einaudi e milita in Serie B con l’Unterland Damen. Una sua compagna è morta in mare


di Luca De Marchi


BOLZANO. Demba Awa è una giovane ragazza di Serekunda, la più grande città del Gambia. Nata il 1 gennaio del 1997, è arrivata in Italia durante l’estate scorsa. Parla ancora a fatica l’italiano e, quando le si chiede di descriversi in poche parole, ride imbarazzata. Siamo al centro accoglienza Casa ex Einaudi di via Galilei, un edificio ricavato da vecchi laboratori scolastici, che attualmente ospita famiglie e donne richiedenti asilo politico, dove la Onlus Volontarius cerca di renderne l’ambiente e l’atmosfera – che di per sé sanno ben poco “di casa” – più accoglienti possibile. Awa alla fine risponde: «Sono una ragazza semplice e amichevole - dice - E sono calciatrice».

Senza i genitori, Awa è cresciuta per 14 anni in un Sos Children’s Village, villaggi nati in Gambia negli anni ’80 quando la situazione di molte famiglie è cominciata a diventare così precaria da portare all’abbandono dei figli. Quando le chiedi di descrivere la sua vita nel villaggio gambiano, Awa spiega che «non è stata un’infanzia facile», ma si sforza di sorridere. «Arriva il momento - prosegue - in cui ti rendi conto che quella persona che si è presa cura di te e che hai chiamato papà, non è tuo padre».

Awa si ferma, riflette, sospira. Quando parla di calcio, improvvisamente si accende: «È stato da sempre il mio sogno».

Sogno che Awa, nonostante la giovane età, è subito riuscita a rendere concreto. A 6 anni inizia a giocare, a 10 entra nella squadra del Nambori e a 16 nella nazionale del Gambia, come attaccante, coronando il sogno di partecipare alla Coppa del Mondo in Azerbaijan: è fiera di sé quando racconta i gol decisivi segnati contro il Sierra Leone.

Il calcio le ha cambiato la vita: «Ha formato il mio carattere e il mio modo di essere. Spesso sei stanca e triste e hai bisogno di parlare con qualcuno ma non c’è nessuno e allora parli con te stessa. Lo sport aiuta a concentrarti su te stessa». Alla domanda se, come donna, una calciatrice va incontro a delle discriminazioni, risponde di sì, «e se ascolti chi non crede in te rischi di spegnerti».

Awa ha lasciato il paese a 17 anni, in fuga, come tanti giovani del Gambia, da uno dei paesi più piccoli e più poveri dell’Africa. Alla fine del 2016 Fatim Jawara, la giovane portiere della nazionale in squadra con Awa, aveva preso la sua stessa scelta senza riuscire a coronarla e terminandola tragicamente nel Mediterraneo. Aveva 19 anni.

Il sogno di Awa è quello di proseguire la propria carriera calcistica. In Italia si trova bene ma conosce ancora poche persone. Grazie agli operatori e ai volontari che la sostengono nel suo percorso, ha iniziato a giocare nella «Unterland Damen», la squadra della Bassa Atesina della Federazione Italiana Giuoco Calcio, che milita in Serie B.

«Un sentito grazie va all'assessora Martha Stocker e a Laura Savoia dell'Ufficio Sport della Provincia, che hanno dato un prezioso contributo», tiene a spiegare Salvatore Giuliana, educatore di Volontarius.

In campo le ragazze dell’Unterland Damen ridono e scherzano. Awa si allena, e si distingue per il berretto che porta sulla testa: non si è abituata al freddo e già una volta ha finito per ammalarsi. «Awa frequenta la nostra squadra da diversi mesi ed è stata accolta bene perché si è posta bene - racconta l’allenatore Massimo Trentini -. È molto timida ma ha carattere». Una buona pratica che, a detta del mister, andrebbe diffusa.

Ma come si immagina Awa fra cinque anni? Lei sorride imbarazzata come quando le abbiamo chiesto di descriversi in poche parole. Ma stavolta risponde subito: «Voglio diventare una delle migliori calciatrici sul mercato!». Poi ride. «Del Gambia - prosegue - mi mancano i miei amici, gli affetti. Ma quando sono arrivata a Bolzano mi sono detta che sarebbe comunque stata una nuova, importante esperienza di vita. E che dovevo ricominciare».













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