BOLZANO

Bolzano, 30 profughi accampati nel sottopasso dei Piani per difendersi dal freddo

Fuori dalle parrocchie, passano la notte nel tunnel per il parcheggio Mayr-Nusser


di Luca Fregona


BOLZANO. Stretti l’un l’altro per farsi caldo. Nascosti sotto le coperte. Accampati nel tunnel pedonale che porta da piazza Verdi al parcheggio Mayr-Nusser, gestito dalla Seab. Materassini stesi sul pavimento di marmo gelido, sacchi a pelo, zaini e borse di plastica usati come cuscini. Senza bagni, senza acqua, senza generi di prima necessità. Ad assisterli ci sono solo i volontari di «Bozen Accoglie». Così hanno passato la notte i trenta migranti che si sono ritrovati per strada dopo la decisione, obbligata, del parroco del Duomo don Mario Gretter, di non ospitarli più nei locali del centro giovanile Vintola e nella biblioteca della Chiesa San Giuseppe ai Piani. Il sottopasso è l’unico posto sicuro (e al caldo) dove aspettare il giorno. Le autorità chiudono un occhio. La Seab li lascia stare senza intervenire, la polizia controlla con discrezione. E anche i bolzanini che vanno al parcheggio guardano con compassione. Per due mesi questi ragazzi sono stati ospitati nelle strutture messe a disposizione da don Mario, ma non poteva durare all’infinito. I primi a riconoscerlo sono loro. «Di don Mario possiamo dire solo bene. Si è assunto una grande responsabilità facendoci dormire in locali di fortuna. Ha avuto un grande coraggio». Il problema è che don Mario ha dovuto assentarsi da Bolzano, e via lui, non ha voluto scaricare ad altri il peso di una decisione (morale, umana e anche politica) di difficile gestione. Si tratta infatti di profughi, quasi tutti africani, che non hanno trovato spazio all’interno dei centri di accoglienza allestiti da Comune e Provincia, e che si trovano bloccati a Bolzano. La gran parte sono “fuori quota”. Dei fantasmi che non rientrano nei contingenti assegnati dallo Stato alla Provincia. Alcuni, respinti dall’Austria o cacciati dalla Germania, continuano a tentare la strada per il Nord Europa. Altri sperano in un futuro in Italia, anche a Bolzano. Sono in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato o del permesso di soggiorno. C’è chi, come Alì, scappa dalla guerra infinita nel Sahara occidentale. Chi fugge dalle mattanze etniche. Chi, come alcuni giovani del Gambia, dalle persecuzioni religiose. Chi, semplicemente, se n’è andato perché moriva di fame. Quasi tutti sono arrivati sui barconi. L’unica colpa è essere nati dalla parte “sbagliata” del mondo. E c’è anche chi, come Faisal, il permesso di soggiorno ce l’ha già, ma ora rischia di perderlo perché a fregarlo è stato un italiano. Trentatré anni, marocchino, Faisal si è trovato improvvisamente senza lavoro e per strada. L’azienda dove ha lavorato per 4 anni, è andata in crisi. Lui, dopo essere stato licenziato, ha scoperto che non gli erano stati mai versati i contributi. «Non ho più una casa e devo sbrigarmi a trovare un altro lavoro, o torno clandestino...». Faisal parla bene l’italiano. A lui tocca il ruolo di portavoce, di mediare con istituzioni e forze dell’ordine. Deve anche controllare che tutto fili liscio. Che i ragazzi si comportino bene senza dare sponda a chi - su manifesti privi di pietà - li chiama «feccia». Giancarlo Boggio, volontario di «Bolzano accoglie», fa il turno di notte nel sottopasso. «Una città ricca come la nostra - dice - non dovrebbe tollerare quello che sta succedendo. In questo gruppo ci sono anche tre minori. Per fortuna siamo riusciti a trovare delle famiglie che li hanno accolti. Ma dov’è finita la solidarietà? Don Mario ha supplito alle mancanze delle istituzioni finché ha potuto. Ma ora queste persone sono in strada, e quando chiuderanno il Palasport ne avremo altre trenta...». Senza documenti e senza diritti, parcheggiati nei dintorni della Stazione. La sera mangiano alla mensa della San Vincenzo all’ex distributore di piazza Verdi. A mezzogiorno ci pensa «Bolzano accoglie» a portare cibo, abiti e coperte. Stanotte dormono nel tunnel.

Domani, chissà.













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