Bolzano: la sovranità limitata

di Paolo Campostrini


Paolo Campostrini


Questo inedito pencolare di Bolzano verso sbocchi extraterritoriali meridionali, a Laives e a San Giacono, è la metafora del suo stato di ibernazione progettuale. Bolzano sa di dover crescere ma non riesce a farlo con le sue forze, non è in grado di camminare su un percorso fisiologicamente compatibile ai suoi caratteri identitari. Chiede aiuto, forza i confini aggrappandosi come un naufrago agli accordi intercomunali. Accetta, in sostanza, di essere un capoluogo a sovranità limitata. Questo accade per due ragioni, una politica e l’altra ideologica. La prima è tutta dentro la fragilità di una giunta che nasce come consorzio solidale più che solida alleanza programmatica. Le sue difficoltà sono intrinseche e misurabili nella distanza che intercorre tra Gallo e Ladinser: dal Virgolo al piano traffico ogni snodo decisionale assume i contorni di un possibile terreno di frizione con la conseguenza di escludere anche la sola prospettiva di affrontarlo. L’altra ragione possiede tutte le rigidità proprie di un tabù ideologico: Bolzano può svilupparsi solo lungo il suo cuneo verde ma ha scelto a priori di ignorare questa incontrovertibile direttrice urbanistica.
Casanova e Firmian sono stati gli estremi tentativi di aggirarlo agendo sulla pianta topografica: adesso, la frontiera sono le monadi teoretiche del «costruire sul costruito». Naturalmente una città non può salire di livello come un terrapieno e tra pochi anni l’ideologia dovrà affrontare la realtà dei numeri e dei bisogni. Ma come ogni fondamentalismo, anche quello urbanistico vive di illusioni, immagina un mondo in cui tutto va come è scritto sui libri, piega la vita all’idea finchè può. In realtà il cuneo verde non esiste. Bassetti, l’assessore che forse più di tutti aveva chiara l’organicità dell’alleanza tra centrosinistra ed Svp, sosteneva l’assoluta incoerenza della difesa «hic et nunc» di un’area ormai trasformata in informe contenitore di capannoni, costruzioni vagamente contadine, edifici cresciuti tra interscambi di cubatura, giardinerie private e strade interpoderali. In un intrico di cantieri che ne avevano snaturato ormai da anni il suo carattere agreste e la sua possibile fruibilità come polmone verde.
Il cuneo esiste solo come frontiera ideologica. Nello schema identitario Svp è la trincea Bauernbund dentro il magma urbano dei quartieri italiani, la rappresentazione plastica (ben visibile dal Castel Firmiano «del Los von Trient») dei vigneti storici che si frappongono all’avanzata della città. Ma questa visione tutta politica pretende di possedere contenuti urbanistici, di porsi come obiezione amministrativa ai bisogni di una comunità. A tal punto da costringere intere fasce sociali in attesa di alloggio a trasmigrare altrove, fuori dai confini comunali, accettando la prospettiva di costruire nuovi ghetti residenziali a San Giacomo e a Laives che stanno a loro volta faticando per togliersi l’immagine di sobborghi-dormitorio di un capoluogo incapace di porre un freno al suo caro-casa e alla patologica carenza di aree abitative. Bolzano è nella condizione di un malato a cui i medici insitono nel fargli credere che la sua malattia è un’illusione. Che lo sviluppo non è un valore ma soltanto un rischio inutile. Che la guarigione risiede nel convincersi che il bene è nella stasi.
Non si sa fino a quando tutto questo potrà durare, quanto terrà il tappo che impedisce a Bolzano di respirare a pieni polmoni, di decidere del proprio futuro attraverso parametri non più novecenteschi, legati all’idea di una realtà urbana in perenne contrapposizione al suo territorio, coerentemente legata ad una sempiterna dicotomia città-campagna. Che i tempi siano maturi per cambiare passo lo dice il dibattito che sta nascendo dopo l’apertura del «corridoio sud», verso Laives. Urbanisti, architetti e imprenditori sono già pronti a confrontarsi sul cuneo fuori da ogni melmosità ideologica. Sanno che le questioni, oggi, sono cambiate. Che a Bolzano vive la più numerosa comunità di lingua tedesca della provincia. Che i contadini del cuneo hanno venduto alle agenzie immobiliari. Che a Castel Firmiano adesso c’è Messner e non più Magnago. Loro sono pronti, aspettiamo che lo sia anche la politica.

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