Bressa: altro che manette, l’accordo c’è 

Il senatore del Gruppo autonomie: «Grazie al patto nazionale con noi la Svp ha un eletto in più. E arrivano le europee»


di Francesca Gonzato


BOLZANO. Gianclaudio Bressa ha già abbastanza problemi con il Pd. Il neo senatore del Gruppo per le autonomie eviterebbe volentieri fastidi sul fronte della Svp. Ma le dichiarazioni dell’Obmann Philipp Achammer (ieri sul nostro giornale) con quell’insistito «non siamo ammanettati al Pd» lo hanno fatto arrabbiare. Poi ha preso il telefono e ha chiamato Karl Zeller, vice Obmann, uno degli uomini della Svp che più si è speso per l’accordo tra Pd e Svp.

Achammer dall’inizio era contrario all’accordo con il Pd. Perché si stupisce che dopo il vostro flop elettorale provi a riposizionare la Svp?

«Perché bisogna parlare delle cose vere. Dire, come fa Achammer, che non esiste un patto nazionale con il Pd, ma solo locale, è fuori dalla realtà. Molto reale è invece il secondo deputato eletto sul proporzionale dalla lista Svp-Patt (Emanuela Rossini) grazie al patto nazionale con noi e depositato al ministero degli Interni. Altrimenti quel posto sarebbe scattato per il Pd. Quell’accordo nasce dall’ottimo lavoro svolto nella scorsa legislatura, le famose 22 norme di attuazione e il patto finanziario tanto per dire. Su altri temi, come i diritti civili, possono esserci state differenze di vedute, è fisiologico».

Questo è il passato recente, ma l’Obmann pensa al futuro e valuta se aprire alla Lega.

«Non ho la sfera di cristallo, so che i rapporti con il presidente Kompatscher sono al meglio e prosegue la collaborazione di governo, finché Gentiloni e il sottoscritto come sottosegretario resteranno in carica. Credo che le parole di Achammer siano estemporanee e una sua posizione personale».

Beh, è l’Obmann, e una parte della Svp la pensa come lui.

«Se la Svp intende cambiare linea lo dirà esplicitamente, anche in vista delle elezioni europee dell’anno prossimo. Vediamo se sarà d’accordo l’onorevole Dorfmann. La sua elezione è arrivata grazie al patto con il Pd. Non so se altri partiti sarebbero disposti a sacrificare un proprio eletto a Bruxelles. Noi lo abbiamo fatto non per convenienza spicciola, ma perché dal dopoguerra la mia parte politica e la Svp sono sempre state alleate sulla base di una visione e un progetto. Non credo che la Svp intenda fare un salto nel buio nel caso attuale».

Come quinto senatore eletto nelle Regioni a Statuto speciale lei ha garantito la nascita del Gruppo per le autonomie. Adesso che il gruppo è cresciuto con i senatori a vita e Casini potrebbe lasciare il gruppo in base al regolamento?

«Sì, ma ci sto per convinzione, non perché abbia le manette...».

Lei inizia una fase nuova: è del Pd, ma abita un altro gruppo. Come è questa novità?

«Inizio ad apprezzare gli aspetti piacevoli di stare in un gruppo piccolo. Poi chiederò di partecipare alla sedute del gruppo Pd, senza diritto di voto. Sui disegni di legge da votare mi confronterò con il Gruppo per le autonomie. Anche nel Pd mi è capitato di votare in difformità dal gruppo, quando non avevo responsabilità di governo».

Lei fa parte del gruppo di Franceschini, meno rigido dei renziani sulla linea «opposizione a tutti i costi».

«Abbiamo perso ed è stato giusto dire “tocca agli altri”. Visto che da soli non hanno i numeri né il Movimento 5 Stelle né il centrodestra, nessuno ora è in grado di sapere come si muoverà il presidente Mattarella, a chi darà un incarico e con quali risultati. Non credo che si potrà tornare a votare: appena sbagliamo qualcosa sui conti pubblici arrivano le sanzioni europee. Se Lega e Movimento 5 Stelle non riusciranno a costituire un governo, il Parlamento semplicemente dovrà interrogarsi su quale sarà il passo più responsabile».

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