Chieregato si supera: libro di 3 mila pagine

Ieri ha compiuto 92 anni. «Mi aiuta una memoria di ferro»


di Alan Conti


BOLZANO. Aspettava una ragazza. È arrivata, ma accompagnata da due soldati delle «Ss». Luigi Chieregato ricorda chiaramente il giorno in cui l’amore gli ha lasciato la cicatrice più profonda: l’8 settembre 1943. Aveva 20 anni e il sentimento - vero e profondo - gli è costato la deportazione nel lager sulle sponde del Danubio. Chieregato, per anni portalettere ai Piani, ha appena compiuto 92 anni e messo la sua firma su almeno duecento libri. La sua memoria, però, è chiara come la sua calligrafia. Perché scrive a mano e ricorda anche i dettagli. Il suo racconto, dunque, comincia da quella notte a dimostrazione che è il sentimento a lasciare le pietre sul cammino della vita.

«Ero ad Aica arruolato da alpino e quel giorno il comandante mi comunicò che dovevamo lasciare il territorio, ma non avevamo altre notizie. Alla sera eravamo con i tedeschi, qualcuno anche con la famiglia e alle 20, all’improvviso, si sono ritirati nel loro albergo tenendo socchiuse le tapparelle per spiarci». In un secondo, dunque, da alleati a persone da guardare con diffidenza. «Non sapevamo cosa fare. Mi sono offerto - assieme ad altri - di raggiungere il comando di Varna: d’altronde ero altoatesino e conoscevo i sentieri. Peccato che all’altezza di un ponte una raffica di mitra ci abbia fermato». Rimaneva solo una soluzione. «Avevo allacciato un rapporto stretto con una ragazza tedesca. Ci incontravamo in un nascondiglio preciso: sono andato lì aspettandola perchè parlandole potevo capire cosa stava accadendo nelle fila avversarie. È arrivata, ma accompagnata da due soldati delle Ss e ha finto di non capire il mio italiano. I militari mi hanno catturato dicendomi che in Germania c’era posto anche per me». Sì, in un campo di concentramento. «Con la tradotta ci hanno portato in un lager sulle rive del Danubio. Ci hanno trattato peggio dei cani rabbiosi, disumano. A me hanno attaccato una fascia: mi ritenevano pericoloso per la Germania. Il motivo? Avevo sedotto una ragazza di lingua tedesca. Allucinante».

La vita ha voluto che Luigi si salvasse e, originario di Fratta Polesine in provincia di Rovigo, abbia letteralmente scritto decine di tomi sulla storia dell’Alto Adige. Sono oltre duecento, infatti, i libri che ha pubblicato. «Sono tutti come figli e mi hanno permesso di portare a casa numerosi premi e riconoscimenti».

Lui, che di figli in carne e ossa ne ha tre con cinque nipoti e cinque pronipoti, fatica a sceglierne qualcuno, ma è evidente che un tema caro lo ha. «Forse sono l’unico in Alto Adige ad avere tratteggiato con chiarezza la figura di Walther von der Vogelweide, senza ridurlo a semplice menestrello. In pochi sanno, per esempio, che non sapeva nè leggere nè scrivere. Da bambino aveva un passato da orfanello: in Baviera venivano assistiti fino ai 13 anni e poi lasciati al loro destino. Un prete di un eremo consegnava a questi ragazzi del pane una volta al giorno, ma Walther andava solo ogni tanto. Era diverso e colpì il sacerdote che lo battezzò Von der Vogelweide».

Sul suo scrittoio in cucina Chieregato ha la penna con cui affronta la pagina numero seicento del prossimo libro. «Ne avrà circa tremila. Si intitolerà Lettera alla presidente della Provincia. Mi piace trasmettere quello che ho vissuto e quello che ho studiato mettendo a disposizione della gente la fortuna di avere una memoria molto forte. Scrivo sempre, appena posso, e non conosco malinconia nè solitudine». Ritorna alla mente anche il primo volume. «Si intitolava Voci nella disperazione ed è del 1955. Racconto quando, al termine della guerra, i giovani venivano reclutati da un vecchietto nella legione straniera. Preferivano partire anzichè rimanere alle poste: un peccato che andava tramandato».

Nei prossimi giorni Chieregato sarà celebrato - come una star - al teatro Cristallo con una piccola e significativa festa di compleanno.

Un talento che ha lasciato segni sulla carta come sulla vita. «Sono sempre stato un poveraccio in molte cose e mi sono sempre definito un ladrone di cultura. Fin dalla scuola elementare quando scrissi in un tema il racconto di una rondine che dialogava con mio fratello in viaggio per la guerra di Etiopia. Da lì in poi il mio maestro ha curato la mia formazione in modo particolare e io ho assorbito tutto quello che potevo». E con le donne com’è finita? «Chi sa scrivere con intensità ama sempre un po’ di più».

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