l’incontro al rainerum

Dislessici ma laureandi Due storie di rivincita

BOLZANO. E’ una questione di metodo e non di merito e per quanto possa apparire semplice è la chiave che apre il mondo della dislessia. Quando te lo raccontano ragazzi che per frequentare l’università...



BOLZANO. E’ una questione di metodo e non di merito e per quanto possa apparire semplice è la chiave che apre il mondo della dislessia. Quando te lo raccontano ragazzi che per frequentare l’università hanno dovuto arrampicare muri altissimi di lettere in disordine e numeri saltellanti non puoi che crederci: è evidente che di chiavi per risolvere le difficoltà se ne intendono. Sul palco del Rainerum, Anita Stabellini e Francesco Biagioni, rispettivamente studenti di scienze della formazione a Ferrara e psicologia clinica a Pisa, hanno spiegato come hanno scalato la carriera scolastica affrontando la dislessia. Un incontro organizzato dalla sezione locale dell’Associazione Italiana Dislessia. Parole preziose per un pubblico di giovani e bambini con le stesse difficoltà e qualche insegnante. “La nostra – comincia Stabellini – non è una malattia, preferiamo venga identificata come una caratteristica o una neurodiversità”. Definiamola, però, nei suoi tratti specifici. “Esistono varie declinazioni di dislessia: io, per esempio, faccio fatica a fare i conti, ma ci sono indubbie difficoltà anche nel leggere ad alta voce, interpretare l’orologio o distinguere la destra con la sinistra”. Naturalmente lo studio diventa uno scoglio di enormi dimensioni. “Certo e diventa determinante trovare un proprio metodo, ma anche rapportarsi con insegnanti che sappiano ascoltare il problema trovando, insieme, delle contromisure”. Anita, per esempio, ha poggiato la sua carriera sulle mappe. “Io ne disegno di ogni tipo e ho trovato docenti che le hanno utilizzate anche come surplus per tutta la classe. All’università è chiaramente più complesso riuscire a rapportarsi con i docenti per prevedere delle formule personalizzate di apprendimento o valutazione”. Già, proprio la valutazione è un nodo difficile da sciogliere: come fa un professore a capire davvero il grado di preparazione di un alunno con queste caratteristiche? “Credo sia la difficoltà professionale maggiore perché non nascondo che alla constatazione di una dislessia possa seguire una certa arrendevolezza. Detto questo ritengo che faccia parte del bagaglio di un insegnante capire se qualcuno viene a scuola solo per scaldare la sedia oppure se è determinato a ottenere risultati. D’altronde deve farlo con tutti”. Francesco, dal canto suo, racconta la sua esperienza con il pc in classe. “Ho frequentato il classico e per me è diventato indispensabile utilizzare il pc come supporto alternativo. All’inizio, non lo nascondo, mi vergognavo di questa diversità. Dopo, però, diventa abitudine e non ci fai più caso”.

Le storie di Anita e Francesco, insomma, delineano un recinto preciso attorno alla dislessia e non le permettono di mettere in dubbio le capacità scolastiche o accademiche. Si tratta solo di trovare gli strumenti giusti e il metodo di studio adeguato per sviluppare i propri talenti, seppur partendo da una prospettiva particolare. E’ davvero così diverso dalla sfida di qualsiasi altro studente? (a.c.)

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