Durnwalder, il picconatore del dialogo


Sergio Baraldi


Si sapeva che l’apertura di una nuova fase dell’autonomia sarebbe stata contrastata, difficile, perché le resistenze a un dialogo vero sulla convivenza tra la popolazione di lingua italiana e quella di lingua tedesca sono diffuse. Pochi, tuttavia, avrebbero immaginato che il presidente Durnwalder si sarebbe arruolato tra i picconatori della nuova stagione. Forse il capo del governo territoriale non voleva che la sua intervista al nostro giornale sulla ricorrenza per l’unità d’Italia diventasse un caso nazionale. Che il suo «no» alle celebrazioni suonasse come una regressione sulle posizioni più oltranziste. Invece, è quello che è avvenuto. Anche perché l’Alto Adige rischia davvero il grottesco: il 2 giugno a Roma ci saranno l’Inghilterra, la Francia, la Germania e persino l’Austria, ma non ci saremo noi. A questo punto, l’opinione pubblica italiana ha diritto a domandarsi quale sia la vera linea dell’Svp che, un giorno, oscilla verso l’offerta di dialogo, che poi si materializza in un accettabile accordo sui monumenti, e l’altro vacilla verso uno scontro etnico, come potrebbe avvenire sulla toponomastica o sulle celebrazioni per l’unità.
Il difficile lavoro del segretario della Svp Theiner, e di altri, a favore di una nuova fase tra sudtirolesi e italiani riceve un colpo inatteso proprio da colui che dovrebbe guidarla: Durnwalder. Si tratta di un errore grave sia sul piano politico sia su quello istituzionale.
Sul piano politico, Durnwalder apre uno squarcio preoccupante sulle contraddizioni interne alla Svp, come di un partito in preda a pulsioni differenti, che fa fatica a diventare un moderno partito in cui l’origine etnica non sia l’unica ragione sociale della sua esistenza. Poi Durnwalder ci dichiara formalmente che a detenere le chiavi della decisione interna della Svp sono due estremisti: la Klotz e Leitner i quali, con le loro iniziative, condizionano a tal punto il partito di raccolta da spingere Durnwalder a un’intervista tutta di «pancia» il giorno dopo che il segretario Theiner, invece, aveva parlato di speranza e di liberazione dalle paure del passato.
Davvero Durnwalder crede che il modo migliore per sconfiggere la destra tedesca estrema sia inseguirla sul suo stesso terreno? Anche tra gli italiani c’è una minoranza radicale, ma l’alleato di governo, il Pd, e l’opposizione di centrodestra non si fanno trascinare su quella linea. Semmai, la combattono. Il rischio per la Svp è che a dettarle l’agenda politica siano gli estremisti che stanno “fuori” dal partito. È un errore politico, infine, perché intralcia il tormentato processo di dialogo che per avanzare, come il nostro giornale si augura, richiede la forza e la calma di valori e idee che militano a favore di una società aperta in cui tutti, qui, possano sentirsi a casa e progettare un futuro insieme. Durnwalder, invece, ha compiuto l’operazione opposta: ha rimesso al centro il grumo incandescente delle identità separate, assumendosi la responsabilità di apparire non come l’uomo della definitiva riconciliazione storica, ma della ulteriore divisione. Gli interrogativi riguardano anche la sua figura di presidente. Nessuno si meraviglia se Durnwalder cura gli interessi dei sudtirolesi. Ma ci aspettiamo che, in quanto rappresentante di tutti i gruppi linguistici, lo faccia sempre nella cornice dell’interesse generale nel quale, secondo la logica dello Statuto, sia tutelato l’equilibrio tra i diversi gruppi e prevalga la coesione della società nelle sue differenze.
Al contrario, Durnwalder ha più volte dismesso il ruolo di «presidente di tutti» per vestire i panni di presidente solo della maggioranza sudtirolese. Sarebbe un’interpretazione faziosa delle istituzioni, che non serve né alla società, compresa quella tedesca, né a lui. Non si capisce se Durnwalder parli come capo delle istituzioni o come leader della Svp. Una confusione di ruoli che rende più rischiosa la transizione in cui si trova oggi un territorio complesso come l’Alto Adige. Presidente, ci pensi. Altre volte ha dovuto correggere le sue posizioni. Non giova a nessuno che lei smetta di essere il garante della libertà di tutti e si trasformi nel picconatore dei diritti di una parte della società e si schieri «contro» la minoranza. Non dimentichiamo la Costituzione della nostra autonomia, voluta da italiani e tedeschi, e vincolata ad accordi internazionali. Quando lei manca di rispetto alla Repubblica italiana nata dalla Resistenza antifascista, purtroppo manca di rispetto ai cittadini che non sentono ostile l’Italia, di cui facciamo ancora parte.
Quelle parole possono essere lette come un gesto d’inimicizia in un passaggio delicato e potrebbero incrinare la leale collaborazione che ci deve essere tra istituzioni locali e nazionali. E’ in gioco la credibilità sua come rappresentante di tutti e dell’Alto Adige, che ha diritto, nonostante gli estremismi e le ferite non del tutto rimarginate, di costruire un futuro nuovo, libero dall’ipoteca delle tensioni di ieri. Crediamo nel meglio di noi, non nel peggio.

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