“Ein Tirol” e la piantina del terrore: Frick e Sandrini

Attentati, la prima svolta nel 1987: un falegname e un arredatore arrestati per terrorismo, ma hanno fatto tutto da soli? E chi li ha finanziati?


di Paolo Cagnan


BOLZANO. Scoppiano le bombe, infuriano le polemiche, crescono le paure, proseguono le indagini. Polizia e carabinieri si dannano l'anima, ma c'è poco da fare: i terroristi non si trovano. Di testimoni oculari nemmeno l'ombra. A casa delle "teste calde" non c'è traccia di armi né esplosivi, le intercettazioni telefoniche non rivelano conversazioni compromettenti, e le perizie sono considerate quasi un impaccio burocratico. Invece, una traccia che si rivelerà poi decisiva partirà proprio dal minuzioso esame dei frammenti delle bombe esplose a Bolzano. In via Guncina e in via Knoller, “oltre alle schegge metalliche degli ordigni venivano rinvenuti alcuni spezzoni combusti di miccia a lenta combustione e dei pezzetti di stoffa di colore nero, in parte bruciati (via Guncina) e un pezzo di stoffa ugualmente di panno nero (via Knoller), del tutto analogo ai brandelli trovati in via Guncina” .

Il significato della presenza della stoffa nera non è poi così oscuro: da anni ormai, in occasione dell'"infausta" ricorrenza del 4 novembre, i separatisti invitano la popolazione di lingua tedesca ad esporre alle finestre dei panni neri, in segno di lutto per quella data che ricorda l'“inizio dell'oppressione italiana”. E il 4 novembre, polizia e carabinieri avevano sequestrato drappi neri a Cornaiano e San Paolo, alla periferia del capoluogo. Da un rapido esame comparativo risulta che la stoffa dei drappi esposti nei due paesi è dello stesso tipo di quella rinvenuta sul luogo degli attentati. O si tratta di una semplice coincidenza, oppure chi ha distribuito i drappi neri sa qualcosa anche delle bombe.

Ecco finalmente una pista concreta. Si scopre così che nell'ottobre del 1986, un distinto signore aveva acquistato in un grande magazzino di Bolzano 40 metri di stoffa del tipo “panno lenci”. Si chiama Dieter Sandrini, ha 42 anni, vive a Caldaro ma ha uno studio d'arredamento a Bolzano. Iscritto allo Heimatbund sino al 1983, come ex membro della Lega patriottica è uno dei tanti ad essere tenuto d'occhio. La polizia scopre che proprio Sandrini aveva provveduto a consegnare la stoffa ad alcuni sudtirolesi. E con lui, in quei giorni, c'era Franz Frick, 50 anni, falegname residente a Meltina, sulla montagna sopra Merano, anch'egli vicino alle posizioni dello Heimatbund.

La pista, insomma, porta subito alla strana coppia, ma “numerose perquisizioni nella zona di Merano e di Bolzano ed una serie d'intercettazioni telefoniche non sortiscono alcun risultato utile” . La casa di Sandrini a Caldaro viene setacciata da cima a fondo il 31 gennaio dell'87, una settimana dopo gli attentati contro Mitolo e Ferretti, ma senza esito.

Questa è la situazione il 2 febbraio dell'87, quando Frick si presenta alla stazione dei carabinieri di Egna, dopo essere stato convocato in relazione alle indagini per un furto di macchinari di cui era indiziato. Il falegname è fallito, ha venduto la sua segheria a due compaesani ma è accusato di avere fatto sparire parte dei materiali inseriti nell'inventario. In caserma, i carabinieri gli chiedono un documento d'identificazione, ma il falegname ne è privo. E’ giunto a Egna al volante della Bmw del fratello. I militari gli chiedono di poter vedere almeno la patente. Frick si dirige verso l'auto al cui interno, sotto il sedile anteriore, un brigadiere scorge un pezzo di stoffa di colore nero.

Che sia una traccia interessante? I carabinieri danno un'occhiata alla macchina, e dal portabagagli saltano fuori cento cartucce calibro 9 parabellum, custodite in un sacchetto assieme ad alcune merende. Nell'abitacolo, i militari rinvengono diverso materiale propagandistico antinazionale. A questo punto, vistosi evidentemente scoperto, Frick cerca di disfarsi di una piantina di Bolzano, al cui interno c'è il foglietto di un bloc notes a quadretti, sul quale sono segnati gli indirizzi dell'avvocato Andrea Mitolo, di Remo Ferretti e di Pietro Mitolo, oltre alla dislocazione del monumento alla Vittoria con la vicina sede del Msi: due obiettivi già centrati, altri due obiettivi da colpire magari entro breve tempo.

La frittata, ormai, è fatta. Il falegname viene bloccato e interrogato pochissime ore dopo dal magistrato: “Sono innocente. Quel foglietto me lo avrà messo in tasca qualcuno al bar Meraner di via Bottai a Bolzano, l'altro giorno”. Frick ammette poi di utilizzare frequentemente la BMW rosso bordeaux del fratello. Affermazione apparentemente innocua, in realtà un vero e proprio autogol: un testimone aveva notato a Merano proprio quella macchina poco prima dell'attentato al pullman targato Matera. E l'aveva notata per un particolare inconfondibile: “Una decina di minuti prima dell'esplosione si era allontanata dal luogo una BMW di colore rosso bordeaux, con cerchioni in lega leggera marca Alpine. Detta autovettura era stata notata dal teste circa 15 minuti prima dello scoppio, ferma a pochi metri dall'autobus, e dopo alcuni minuti si era udito, per due volte, in rapida successione, il rumore della portiera che si chiudeva e quindi la vettura si allontanava a forte velocità in direzione del centro cittadino” .

Frick abita presso il maso Oberkapill, ospite di un suo compaesano, Alois Heiss. Una perquisizione è d'obbligo. E qui, “con la continua presenza del proprietario” i militari trovano un detonatore, infilato nella tasca di un paio di pantaloni alla zuava che appartengono a Frick. Risultato ancor più clamoroso darà il controllo della falegnameria Saltenfenster, ceduta dall'artigiano nell'estate dell'anno prima. In uno stanzino di cui solo Frick ha le chiavi, gli uomini dell'Antiterrorismo trovano interi scatoloni di materiale propagandistico anti-italiano, ma la scoperta più interessante è un'altra.

Poco lontano dalla falegnameria, in una vasca per la raccolta di rifiuti - una sorta di discarica abusiva - vengono trovate sotto le immondizie sette bombe già pronte per l'uso. Sono costituite da cilindri metallici contenenti polvere nera, identici a quelli esplosi nelle settimane precedenti. Inoltre, racchiusi in un cartone, quaranta metri di miccia azzurra a lenta combustione e “numerosi contenitori di varie dimensioni, ripieni di un liquido oleoso trasparente dall'odore acre”. Che dire delle prove raccolte?

Una mappa del terrore, detonatori, miccia, bombe già confezionate, materiale anti-italiano. Non manca proprio nulla. Ma la stampa di lingua tedesca ed alcuni settori politici italiani sosterranno pervicacemente la tesi di un complotto, di un'oscura e depistante manovra dei servizi segreti. La magistratura è in possesso di prove schiaccianti. Nuovamente interrogato, Frick non apre bocca. Dice soltanto che il detonatore nei pantaloni a casa di Heiss, le cartucce nell'auto del fratello, le bombe nella falegnameria e la piantina del terrore nella tasca dei suoi pantaloni sono solo il frutto di una congiura per incastrarlo. In attesa che il falegname vuoti il sacco, gli inquirenti concentrano la propria attenzione sulla mappa del terrore. Sanno che Frick gira spesso in compagnia di Sandrini, e che quest'ultimo risultava iscritto allo Heimatbund. Consultano le schede di adesione alla Lega patriottica e scoprono così che la calligrafia di Sandrini è identica a quella del foglietto sequestrato a Frick.

Anche l'arredatore caldarese finisce in manette. Messo alle strette, ammette di aver scritto il biglietto su richiesta del Frick, “che non mi ha fornito alcuna spiegazione” e ammette di avere acquistato la stoffa nera. Sulle prime, Sandrini non parla. Poi, secondo quanto riferiscono le carte processuali, diventa improvvisamente loquace, forse per scaricare ogni responsabilità sul complice: “Frick è in collegamento con i neonazisti d'Oltrebrennero, ha stretti contatti anche con Astfäller e la cricca di Covelano e fa da tramite fra l'ala dell'autodeterminazione e gli esponenti della Svp, provvedendo nell'espletamento di tale sua funzione, a distribuire gli inviti per le riunioni mensili”.

Un'affermazione tratta dal verbale d'interrogatorio e sottoscritta da Sandrini. Messi a confronto in carcere, i due non aggiungono molto a quanto gli inquirenti già sanno. Frick finisce però con l'ammettere di aver ricevuto dal Sandrini gli indirizzi “sospetti”. Racconta poi una strampalata versione dell'accaduto: “Ho incontrato uno sconosciuto in piazza Municipio a Bolzano che mi ha chiesto con insistenza gli indirizzi di Ferretti e Mitolo. Sono andato con lui in un bar di via Bottai. Poi, per accontentarlo, mi sono recato nello studio di Sandrini, nella stessa via, che mi ha dato i due indirizzi insieme alla cartina. Lo sconosciuto però non mi ha voluto dire chi fosse, così non gli ho consegnato nulla, e distrattamente mi sono rimesso in tasca il biglietto”. Il rinvio a giudizio della coppia davanti al tribunale di Bolzano appare ormai scontato. Il processo si apre il 13 gennaio dell'88, in un clima comprensibilmente teso.

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