Fotografie in bianco e nero per un racconto dalla Bosnia

Le immagini di Andrea Rizza dai luoghi del conflitto degli anni Novanta con un messaggio contro i nazionalismi: leggere la guerra per imparare la pace


di Fabio Zamboni


di Fabio Zamboni

C’è chi va in Bosnia, sui luoghi delle carneficine etniche, per capire. E c’è chi va per ricostruire, per aiutare. Andrea Rizza, pacifista bolzanino che lavora per la Fondazione Langer per la quale coordina il progetto “Adopt Srebrenica”, ci va perché la Bosnia c’è l’ha nel dna: padre bolzanino e madre croata, è nato qui ma è cresciuto là, portandosi via e conservando nel cuore una sintonia fatta di sensibilità oltre che di competenza linguistica e culturale. Parlando fluentemente il croato, pressoché uguale al bosniaco e al serbo, è diventato il punto di riferimento di tante iniziative che in questi anni - dalla fine della guerra yugoslava nel 1995 - diverse associazioni hanno costruito per riportare a una difficile normalità quelle popolazioni.

Fotografo, oltre che mediatore culturale, Rizza ha documentato i momenti più intensi del suo frequente ritorno a Sarajevo, Tuzla e Srebrenica, fino a confezionare una mostra che domani sera alle 18.30 verrà inaugurata nel foyer del Centro Cristallo, dove resterà aperta fino a metà luglio. Una mostra presentata in gennaio al Centro Pace di Venezia e destinata poi a fare tappa anche a Cesena. Ventiquattro immagini in bianco e nero intitolate “Dosta!”, ovvero “basta!” in bosniaco.

Basta guerra.

«Basta tutto - ci dice Andrea - soprattutto basta continuare a dividere le etnie, a spartirsi il territorio, e mettere contro la gente in nome di nazionalismi che hanno massacrato una convivenza reale, che prima della guerra vedeva cattolici e musulmani vivere assieme senza problemi. Il messaggio comunque è nel sottotitolo della mostra: “Leggere la guerra per imparare la pace”».

Una mostra organizzata dalla Fondazione Langer.

«Certo, perché conclude un progetto intitolato “Educare alla mondialità”, finanziato dalla Provincia e iniziato a febbraio del 2011 con varie associazioni impegnate a sensibilizzare studenti ma non solo, tramite incontri pubblici. Recentemente abbiamo ospitato a Bolzano Jovan Divjak, il generale che difese Sarajevo dai suoi stessi connazionali serbi. Ma la mostra è organizzata anche in collaborazione con il Circolo Tina Modotti di Bolzano».

Immagini in bianco e nero:perché?

«Bianco e nero e analogico, perché racconto storie che devono decantare, cose intime e personali e mi sembra che il lavoro della camera oscura risponda meglio a questa esigenza del fotografo-narratore. È un lavoro iniziato nel 2006, quando andai per la prima volta a Srebrenica assieme ai miei due figli e fui travolto dall’emozione e dalla voglia di indagare».

Non solo Srebrenica.

«Ci sono anche Tuzla e Sarajevo, le altre tappe del martirio bosniaco. A proposito del titolo “Dosta!”, mi piace sottolineare che è uno slogan diffusissimo in tutta la ex Yugoslavia da quando lo usa il movimento underground dei giovani rapper croati, che hanno coinvolto anche serbi e bosniaci e che al grido di “Basta” rappano contro i profittatori della guerra».

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