Frattini alla Biancofiore: «Errore gravissimo candidare la leghista l’Artioli»

L’ex ministro durissimo sul crollo del centrodestra in Alto Adige: «Le avevo detto “Michaela stai attenta a quella signora, la pagherai cara”»


di Paolo Campostrini


BOLZANO. "Michaela? Per me è più di una sorella ma ha fatto un gravissimo errore a puntare sulla Artioli. L'ho chiamata subito: attenta, la pagherai. Mi piange il cuore ad aver avuto ragione..." Franco Frattini e la Biancofiore: ora separati da Berlusconi (l'ex ministro ha strappato, lei neanche sotto tortura) tuttavia uniti da vent'anni di Alto Adige nel cuore (loro, non di Urzì). Ma adesso, col suo Pdl nella polvere ("ma assieme al Pd..."), per Frattini è arrivato il tempo di non mandarle più a dire. Gran padre del nuovo centrodestra post-mitoliano, ha sempre coperto il frenetico attivismo della sua proconsole.

E ora?

"Ha giocato e ha perso. Ma dico: che c'entra la signora Artioli con i nostri valori? Con lei abbiamo toccato il fondo".

E con Michaela?

"Nutro un grande affetto. Ma sbaglia come si sbaglia a guidare un caterpillar dentro una casa. Troppo entusiasmo. Troppa purezza verso l'idea".

Ma lei l'ha sempre coperta...

"Si giocava di squadra. Ma questa volta no. Le ho chiarito in mille modi che quella signora ci avrebbe rovinato definitivamente. Non ha ascoltato".

E adesso, da dove si comincia?

"Direi non da Holzmann o Minniti o Urzì. Hanno perduto migliaia di voti. E invece li sento ancora parlare, indicare prospettive... Uno strazio. Tutti hanno solo cercato di dividere, di farsi il proprio orto. Invece servono uomini e donne nuove, gente seria che faccia appello ad una sorte di salute pubblica civica".

Dovesse farlo lei l'appello?

"Inizierei da Kompatscher. I partiti italiani sono nella polvere. Anche il povero Pd. Ma alla destra della Svp gli estremisti, da Leitner alla Klotz, hanno preso il 20%. Ecco dov'è il pericolo, anche per Kompatscher. Per questo gli dico: tocca a te difendere questa terra e difenderla con gli italiani. Non serve alla Svp umiliarli. Ma fare un nuovo patto per garantire la democrazia contro chi vuole lo stato libero e le avventure."

Ma ci sentirà da questo orecchio?

"Servirà soprattutto alla Svp sentirci. E a Kompatscher serve lucidità e distacco per capirlo".

Sembrano passati anni luce da quando lei aggregava mezza città con la sua civica...

"Io parlavo di unità e condivisione. Dicevo, contro tutto e tutti, che occorreva collaborare istituzionalmente con la Svp e con il governo. Superare questa monomania della destra italiana tutta indirizzata solo verso il monumento alla vittoria".

Era ancora la destra di Almirante...

"Era il passato. Ma anche la Svp guardava indietro. Io parlavo di integrazione con l'Italia e la Ue, loro di difesa. Ricordo Durnwalder in un suo discorso nel 1999: ora il Sudtirolo si deve difendere dall'Europa... Voleva dire che avevamo colpito nel segno. Che era questo che loro temevano, altrochè monumento. Temevano l'apertura".

Ma poi quella strategia è stata dimenticata. Perchè?

"E' arduo parlare di collaborazione istituzionale con chi pensa solo ai propri interessi. Parto da Holzmann, Minniti perchè sono i più noti. Ma vedevo che tante battaglie sbagliavano obiettivo".

Quelle etniche?

"Anche. Ad esempio: io insistevo nel dire che la questione dei toponimi dovevamo vincerla non aggredendo i tedeschi ma chiedendo loro di collaborare per la messa a punto comune. E invece ci si divideva sul fatto se Minniti dovesse essere eletto in consiglio coi voti Svp o no. Un disastro".

Ma anche lei in alcuni momenti è parso affiancare le posizioni più aggressive. Anche della Biancofiore...

"Io mi muovevo su altri piani. E' chiaro che non potevo scoprire i nostri vertici sul territorio con richiami pubblici. Ma ho lavorato a livello istituzionale. E internazionale. Con Vienna ai tempi della ridefinizione del concetto di potenza tutrice, per fare un esempio. E allora ho percepito in Austria un gran sollievo a poter finalmente riuscire a parlare di apertura verso l'Europa e non solo di Svp e di difesa del gruppo etnico. Tentavo di sciogliere i nodi".

Ma a Bolzano restavano quelli tra An e FI.

"E lì è iniziato il dramma. Nessuno che facesse un passo indietro. O in avanti. Dinamiche personali, attacchi sotterranei. Tutti i capicorrente di An che tentavano di restare a galla e farsi riconoscere".

L'unico successo in chiave trasversale è stato quello con Beniamino Migliucci, no?

"Era quella l'idea. Agganciare i cittadini, le professioni, non solo i politici di mestiere. Una prospettiva finalmente civica"

Ma finita male. C'è stato il sul gran rifiuto...

"Mi ha telefonato prima di decidere di mollare. Mi ha detto: Franco, io in questo ambiente non mi ci trovo. Mi sembra un manicomio. Tutti a litigare, nessuno che pensi all'interesse comune. Beniamino sentiva l'invidia dei politici di professione, non riusciva ad immaginare come avrebbe fatto a cambiare le cose. In quell'occasione ho avuto la prima, vera delusione".

Un esercito di italiani non ha votato. Si può immaginare un futuro senza tutti quei cittadini?

"Non si può. Loro devono capire che serve comunque mettere una croce su un italiano perchè questa è ancora una autonomia etnica ma i partiti devono fare uno sforzo in più, azzerarsi. Noi dobbiamo partire dalla città, come ai tempi della civica. Mettere dentro persone che lavorano nella società, facce serie, non vecchi proconsoli di An o ragazzini. E anche il Pd deve stare attento. A far sempre da solo, a non cercare alleati fuori dalla sinistra finirà per prosciugarsi. Ora passa da due a un assessore. Se non è declino...”.

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Altre notizie

Attualità