Gestione fondi riservati Durnwalder è nei guai 

La Cassazione ha depositato le motivazioni dell’annullamento dell’assoluzione «La buona fede dell’imputato non può derivare dall’ignoranza della legge»


di Mario Bertoldi


BOLZANO. Sono processualmente pesanti le argomentazioni con cui la Corte di Cassazione ha accolto parte del ricorso della Procura generale contro l’assoluzione per insufficienza di prove di Luis Durnwalder in relazione alla gestione dei cosiddetti fondi riservati (72 mila euro l’anno). Sia in primo che in secondo grado i giudici di merito avevano riconosciuto la cosiddetta “buona fede” di Durnwalder. Si era così giunti all’assoluzione ritenendo insuperabili «i ragionevoli dubbi sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato». In sostanza i due processi di merito indussero i giudici a ritenere che Durnwalder avesse agito pensando di essere pienamente legittimato. In realtà la Cassazione sposa un’impostazione giuridica sempre sostenuta nel corso dell’inchiesta (e del primo processo) dall’allora procuratore Guido Rispoli ed in seguito dalla procuratrice generale Donatella Marchesini e cioè che l’elemento psicologico del reato di peculato è costituito dal “dolo generico, e cioè della coscienza e volontà di appropriarsi del denaro o della cosa mobile appartenente alla pubblica amministrazione...» Poichè l’elemento psicologico consiste nel dolo generico l’eventuale buona fede dell’imputato - scrive ancora la Corte di Cassazione - «resta inescusabile per il principio generale sancito dall’articolo 5 del codice penale che prevede che nessuno possa invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale. La buona fede, sottolinea la Corte di Cassazione, è configurabile solo se la mancata coscienza della illiceità del fatto deriva non dall’ignoranza della legge ma da una circostanza che induce nella convinzione della liceità della condotta». In sentenza la Corte di Cassazione (sesta sezione penale, presidente Stefano Petitti) scrive che il presidente della Provincia di Bolzano - dovendo avere piena conoscenza dei principi costituzionali in tema di spesa e dell’inesistenza di un diritto ad agire uti princeps - avrebbe dovuto attivarsi per disattivare ogni precedente prassi illecita, interrompendola immediatamente e non perseverare nell’ingiustificato utilizzo dei fondi riservati. E così la Cassazione ribadisce un principio a cui i nuovi giudici di secondo grado non potranno ovviamente ignorare e cioè che «integra il reato di peculato l’utilizzazione di denaro pubblico accreditato su un capitolo di bilancio intestato a “spese riservate” quando non si fornisce una giustificazione certa e puntuale del suo impiego per finalità strettamente corrispondenti alle specifiche attribuzioni e competenze istituzionali del soggetto che ne dispone, tenendo conto delle norme generali della contabilità pubblica».

Sul sistema delle cosiddette compensazioni adottate per anni dall’ex governatore Luis Durnwalder, la Suprema Corte rileva in sentenza che i giudici di appello hanno riconosciuto la natura incontestabilmente privata di alcune spese (compensate con anticipazioni personali di Durnwalder per fini istituzionali) ma è approdata ad una decisione assolutoria « sulla base di una argomentazione non lineare e non condivisibile» con un ragionamento «contradditoriamente fondato su una ingiustificata assimiliazione delle spese». In sostanza la Corte di Cassazione ritiene che il reato di peculato sia provato e così annulla senza rinvio la sentenza d’appello impugnata limitatamente ai fatti commessi sino all’11 marzo 2006 (perchè estinti per prescrizione), rinviando invece gli atti alla Corte di Trento per un nuovo giudizio d’appello per i fatti commessi in epoca successiva.













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