Il coraggio di uscire dal passato


Sergio Baraldi


Se dovessimo riassumere la crisi che ha colpito le istituzioni dell’Alto Adige dopo l’intervento del presidente Napolitano e la risposta sbagliata di Durnwalder, potremmo tentare in questo modo: la società, quella italiana e quella tedesca, si trova di fronte a un problema imprevisto. Vale a dire, la Svp si rivela un fattore d’instabilità invece che di stabilità. Questo vuol dire che il partito di raccolta è sì il partito di maggioranza per volontà degli elettori, ma non riesce ad essere il partito di governo. Che il partito che rappresenta il più importante gruppo etnico del territorio, stenta a svolgere la funzione delicata e decisiva di architrave del sistema.

Quando il segretario Theiner ha detto nel forum organizzato la settimana scorsa dal nostro giornale che bisogna superare il Novecento e guardare avanti, aveva ragione. Neppure lui immaginava che quelle parole sarebbero diventate profetiche, ma per il suo partito. Lo osserva anche il nostro Paolo Campostrini nel suo articolo oggi, e coglie il punto. Quindi, la Svp rischia di rendersi responsabile di una crisi istituzionale e politica. Istituzionale: perché Durnwalder non ha garantito l’imparzialità delle istituzioni verso le altre comunità, in primo luogo quella italiana, e non ha risposto al suo dovere primo di essere il rappresentante di tutti i cittadini, senza distinzioni di gruppo etnico. Purtroppo, Durnwalder esce dalla critica del presidente Napolitano come un presidente dimezzato.

La catena di errori che ha commesso sul tema delicato dell’identità lo ha mostrato, per la prima volta, ossessionato dal passato. Con Napolitano ha polemizzato ricordando il 1919, ricollegandosi indietro alla Prima Guerra Mondiale, ma dimenticando il particolare che quella guerra fu scatenata dall’Austria e dalla Germania, dagli Imperi centrali, dopo l’attentato di Sarajevo. Una guerra che causò milioni di morti e che l’Austria perse, provocando il crollo del suo impero, compresa la perdita del nostro territorio. Come dice il prof. Palermo nel suo interessante articolo, si sorvola troppo spesso sulla storia e su quello che è accaduto dopo, come se il tempo non fosse passato.

E per Durnwalder il tempo non passa se il suo sguardo è fissato su quell’anno, invece che sui prossimi decenni, sulla società plurilingue da costruire, sul modello di Alto Adige del domani da pensare. La crisi, poi, è politica perché Durnwalder trascina una Svp bloccata culturalmente sullo stesso calendario: quello in cui la popolazione di lingua tedesca viveva la sindrome dell’assedio, avvertiva l’Italia come nemica, e doveva immaginare una strada d’uscita. Era l’Alto Adige di Magnago. I suoi eredi hanno raccolto da lui la pulsione identitaria, ma non la capacità di aprire una strada per il futuro di tutti con l’idea dell’autonomia. La Svp di oggi è un partito che baratta con un ministro il bottino di un dazio parlamentare, risultato che avrebbe potuto ottenere con un confronto serio, trasparente, rispettoso con la comunità italiana. Il dialogo era avviato. Gli storici italiani e tedeschi avevano indicato una via comune. Alcuni leader di entrambi i gruppi si erano spesi.

I tempi sembravano maturi, perché il cambiamento avvenisse attraverso una scelta comune che legasse italiani e tedeschi, non per la svendita di un governo in difficoltà. La crisi politica della Svp si specchia nella mancanza di una coerente linea politica. Il partito di raccolta investe su un governo e una maggioranza che nessuno, neppure Berlusconi, possono dire se fra sei mesi esisteranno ancora. La Svp occupa il potere, ma scopre di essere sola: perché si è delegittimata da sola agli occhi della società, e non solo di quella italiana, come un partito cui è mancata la forza di assumere come propria la responsabilità di tutta la società. Condizionata dai ceti meno avanzati e moderni, guidata dal riflesso delle sue paure, la Svp sembra ritrarsi di fronte al compito storico di aprire una fase di cambiamento per il territorio nella quale sa di dover cambiare anche se stessa. Si avverte un travaglio interno, ma è presto per capire quale anima prevarrà. Questo è un problema per la comunità italiana, ma lo è anche per quella parte della società tedesca che vede il futuro avanzare e capisce che Durnwalder rischia di viaggiare su un binario morto. E’ come se una parte del mondo di lingua tedesca pensasse il “noi” come qualcosa di chiuso, concluso, atemporale. E per questo non riesce a comprendere le ragioni degli altri “noi” che convivono nella stessa terra. Un grande filosofo inglese, David Hume, in un saggio del 1739, spiegava che l’identità evolve, diventa molteplice senza perdere la sua essenza. Anzi, l’identità è un’essenza costruita, organizzata socialmente, in continua trasformazione. Apparentemente, la Svp mette in campo un “noi” che non negozia con l’esterno, impermeabile al mutamento. Naturalmente, si tratta di una finzione, perché come spiega bene il prof. Palermo, i sudtirolesi di oggi hanno più cose in comune con gli italiani o i ladini che non con i sudtirolesi del 1861.

Ma questa chiusura ostacola un dialogo basato sull’eguaglianza e sulla reciprocità. Il sindaco italiano è andato senza difficoltà (e ha fatto bene) alla celebrazioni di Hofer per rispetto verso la comunità tedesca di Bolzano; Durnwalder, presidente della Provincia, non riesce a fare un gesto simile per gli italiani. C’è un corto circuito nel riconoscimento: una parte del mondo tedesco domanda di essere riconosciuto, ma non vuole riconoscere gli “altri”. Eppure fu un grande tedesco, Hegel, a insegnarci che proprio il riconoscimento, il “porre nella propria coscienza l’altro”, istituisce il soggetto. Ma qui gli “altri” sembrano ancora dei nemici o discendenti dei nemici o parenti dei nemici. Nel 2010 siamo tutti figli di Mussolini? Questa è la differenza culturale e psicologica che oggi si riversa in un problema politico: la concezione dell’autonomia, dello Statuto e della sua missione da parte della Svp. L’autonomia è un’invenzione intelligente di Magnago e dei leader democristiani. Ma la Svp oggi sembra interpretarla solo come sua difesa, e non come tutela di tutti i gruppi etnici dell’Alto Adige. Di conseguenza, non la immagina come una formula di convivenza, ma come la Carta di un gruppo solo. Proprio la Svp non riesce a vivere lo spirito dinamico dell’autonomia, mentre gli italiani altoatesini, che pure non volevano l’autonomia e in parte l’avevano osteggiata, oggi ne hanno assimilato le ragioni e ne vivono meglio lo spirito. E’ il motivo per cui non ci sarebbero state sommosse per il “Duce a cavallo”, ma c’è stata protesta per una decisione unilaterale che la Svp voleva imporre e per la svendita del governo della destra. Lo stesso discorso vale per Durnwalder: leggete i messaggi arrivati al nostro giornale o al nostro sito.

La delusione non nasce dal fatto che Durnwalder possa avere cura degli interessi e valori della popolazione di lingua tedesca, ma perché ha rappresentato solo loro, e non “anche” noi. Perché Durnwalder ha guardato i suoi cittadini e non ha visto un popolo, ma due di cui uno non deve contare. Così la Svp non dà stabilità al sistema, ma inietta instabilità. L’autonomia unilaterale non può far nascere una nuova stagione di dialogo. Blocca il sistema sulla faglia identitaria del Novecento-Ottocento, lo impantana in una fibrillazione continua, con un passo avanti su una questione, tre passi indietro su un’altra. Che cosa vuole la Svp? Oggi forse solo una cosa: come Linus tirarsi addosso la coperta del passato. E la Grande Riforma dell’Alto Adige che dovrebbe essere al centro delle preoccupazioni di tutti? La verità è che la Svp discute, ma non riesce ad affrontarla. Si avvita sulla figura di Durnwalder, sul dubbio che si ricandidi o no. Da questo punto di vista, la Svp ricorda il muro di Berlino: finché stava in piedi ha gelato l’Europa; appena si è aperta una breccia, il mondo è cambiato. Allo stesso modo, la Svp o resisterà finché potrà o cambia e prepara il nuovo anche per sé. La Grande Riforma (fine della divisione storica, modernizzazione, innovazione, plurilinguismo, terzo tempo dell’autonomia) serve a tutta la società, qualunque lingua parli. E’ la contraddizione strutturale emersa in questi mesi, che ha visto affiorare tensioni e diversità anche dentro il mondo tedesco, come dimostra l’interessante posizione del segretario di Bolzano Steger. Anche la comunità italiana deve avere il coraggio di non rinchiudersi nella difesa del “noi”. La fermezza è stata la giusta replica alla violazione delle regole da parte di Durnwalder.

Ma il dialogo con il mondo tedesco va preservato, soprattutto con quella parte che non delega a Durnwalder la propria visione del mondo. La modernizzazione va intrapresa nell’economia, nella scuola, nelle istituzioni. Il plurilinguismo è un valore. Il terzo tempo dell’autonomia è l’anima del futuro. Per un simile programma serve una società coesa pur nelle sue differenze. Il disorientamento della Svp offre l’occasione alla politica e al mondo italiani di farsi portavoce del cambiamento che molti sperano per l’Alto Adige. Forse oggi tocca alla minoranza indicare la via a una maggioranza ossessionata dai suoi spettri. La Svp rimarrà sola se non si libererà delle sue paure. Investiamo noi sul coraggio e sulla fiducia.













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