Il designer che restituisce dignità a mobili e persone

Peter Prossliner e la coop che recupera e reinventa gli arredi che buttiamo


di Alessandro Bandinelli


BOLZANO. Dietro Piazza Matteotti una volta c’era una fabbrica di candele, la macchina che generava i ceri è ancora là in mezzo al magazzino, grandi goccie di cera fusa sono rapprese tra le sue spirali che sembrano ancora pronte a gocciolare e in realtà sono ferme lì da anni, testimonianza di quelle piccole e medie imprese che hanno reso grande il nostro Paese, e che sono sempre più in crisi. Intorno, nel magazzino, centinaia di mobili giacciono accatastati. Mobili vecchi non antichi, a volte rotti, di cui la gente ha voluto sbarazzarsi.

Da un’altra parte, in qualche altro posto, c’è chi come quei mobili non è più utile. Sono persone che non trovano più un loro posto nel mondo o non l’hanno mai trovato: lavoratori svantaggiati perché hanno peso il lavoro a una età considerevole o persone in affidamento ai servizi sociali, con problemi di dipendenza o giudiziari, rifugiati, o disabili. Spesso persone dimenticate da una società che corre sempre più veloce e lascia andare chi rimane indietro.

Per questi mobili e per queste persone è nata la cooperativa sociale Akrat, che riclicla mobili usati per inventarne di nuovi e aiuta le persone a ritrovare una sicurezza in sé stesse, che soltanto il lavoro e il sentirsi ancora buoni a qualcosa, a volte può dare.

Questa idea è stata sempre il sogno di Peter Prossiliner, 60 anni, arredatore per 30 anni, designer per passione. A 56 anni ha sperimentato su di sé la durezza del sentirsi inutili quando, nel 2010, l’azienda per cui lavorava è fallita e di colpo si è ritrovato a essere vecchio per un mercato del lavoro che nel frattempo si era evoluto: «Avevo sempre usato la matita e di colpo mi chiedevano di usare il computer, ma io non sapevo neanche come si accendeva». Non tutte le sfortune vengono per nuocere però: «Allo stesso tempo è stata un’occasione: mi sono reso conto che avevo lavorato tutta la vita nel privato, facendo qualcosa che mi dava da vivere ma che non era la mia sfida». E così ha pensato che tanto valeva mettersi a fare quello che aveva desiderato e dedicarsi al design e alle persone.

Nel 2012 incomincia l’avventura con la fondazione della cooperativa sociale che diventa una onlus, viene scelto il magazzino di piazza Matteotti: « Perché - dice Prossliner - è come un paese». Ristrutturano i locali, incominciano ad arrivare le prime donazioni di mobili che vengono accatastati nel magazzino, poi arrivano le persone attraverso i servizi sociali che li indirizzano da Akrat. Così è arrivato Yousefi Barham, 59 anni, iraniano. Sua moglie è una rifugiata politica, lui l’ha raggiunta dopo un anno. «In Iran ero perito edile, costruivo strade, ho venduto la casa senza far sapere niente a nessuno, ho fatto finta di andare in vacanza con i miei figli, sono salito su un aereo per Milano con un biglietto di andata e ritorno ma sapendo che non sarei mai più tornato». Qui è arrivato per un tirocinio formativo di 500 ore; in quel periodo si è dato molto da fare, si è appassionato al lavoro e non lasciava stare una cosa finché non la faceva al meglio. Finito il tirocinio sarebbe rimasto a casa: «Ho parlato con il consiglio di amministrazione - dice Peter - e abbiamo deciso di assumerlo, quando glielo abbiamo detto era al settimo cielo. Purtroppo non possiamo farlo con tutti perché siamo in rosso. Dovremmo vendere il doppio di quello che vendiamo attualmente. I nostri mobili sono tutti pezzi unici artigianali, e quindi costano, il paragone purtroppo per tanti resta l’Ikea e noi non siamo competitivi».

Per Giovanna Redolfi che viene qui come volontaria tutti i giorni e lavora nel reparto tappezzeria, riciclare mobili non è solo un modo per combattere gli sprechi: «A me piace smontare le cose con delicatezza, osservare il lavoro che c’è dentro, e che parla della sensibilità e dell’ intelligenza delle persone che lo hanno fatto. Riciclare non è solo ridare vita a un oggetto, ma impedire che il lavoro di quelle persone finisca nella spazzatura».

Tanti i volontari, come Karin, psicologa e insegnante che ama venire qui a costruire lampade, oppure Herbert Oehrig, falegname che dopo un’incidente in montagna non riesce più a lavorare a tempo pieno e adesso assiste e insegna ai ragazzi come si lavora, o Alex 23 anni, per metà russo e per metà moldavo, una serie di problemi familiari, il suo tirocinio è finito, ma la cooperativa non riesce ad assumerlo per ora, perché non ha i soldi. Nonostante questo Alex preferisce venire qui come volontario, che restare a casa a non fare nulla.

Tanti anche i ragazzi delle scuole di design che danno una mano o che vengono a fare qui il loro tirocinio, come Jasmin Franceschi 17 anni del liceo artistico di Ortisei: «Sono qui solo da tre giorni ma mi sembra molto più tempo per la quantità di cose che sto imparando, non solo dalle persone ma anche dagli oggetti, da come sono fatti, non c’è paragone rispetto ai mobili di oggi».

Per Prossliner ci sono molti volontari creativi, ma lancia un appello per trovare un volontario con competenze amministrative e artigiani in pensione per poter formare i ragazzi. Così, aumentando l’organizzazione e la produzione il progetto potrà continuare: «A giugno stavamo per chiudere, poi ci siamo dati un altro anno- dice Prossliner, con una invidiabile calma olimpica per chi vede il proprio sogno sull’orlo del baratro- Speriamo che le cose cambino e la gente incomincia conoscerci e a comprare i nostri mobili». Speriamo davvero per lui, e per tutti gli amici di Akrat che cercano di dare valore a gli uomini e al loro lavoro, un’idea sempre più folle di questi tempi.

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