Il federalismo tra Lega e Pdl

di Francesco Jori


Francesco Jori


Peggio del carbone. Nella calza di Bossi, la Befana ha infilato un perfido regalo sintetizzato in un numero: 46. Il 46 per cento di chi vota Lega, segnala un sondaggio Ispo di Renato Mannheimer, vede di fronte a sé un 2011 della serie “annus horribilis”. L’esatto contrario, singolarmente, dell’elettorato Pdl.
Dove invece il 46 per cento manifesta fiducia. Un indicatore da non sottovalutare, ormai a ridosso di quella che il leader del Carroccio ha definito “la settimana del giudizio”: in cui il voto sul federalismo deciderà della sorte del governo. Perché offre a Bossi una conferma statistica di quanto ha già percepito a pelle: nella sua base fermenta un malessere alimentato dal corposo sospetto che neppure con una Lega di governo si riusciranno a realizzare le riforme vere. Ed è un sentimento che presumibilmente accomuna i due elettorati leghisti: lo zoccolo duro comunque di fede padana quale che sia il vento che tira; la componente mobile che da tre anni a questa parte ha condotto il Carroccio a una percentuale a doppia cifra. Il disagio è più che comprensibile. Gennaio porterà magari il sì al decreto sul federalismo municipale, uno dei tasselli fondamentali della riforma. Che però andrà a regime solo nel 2019, cioè tra otto anni. Nel frattempo, gennaio ha già portato agli italiani una serie di aumenti che continuerà anche nei prossimi mesi. E in attesa di incassare nel lungo periodo i benefici del nuovo fisco, Regioni, Province e Comuni si vedono costretti a penalizzare da subito i loro cittadini: dal trasporto alla scuola, dalla sanità al’assistenza. Per le famiglie italiane, soprattutto quelle a reddito medio-basso (la stragrande maggioranza), il 2011 sarà comunque un anno perfido, in cui pagheranno di più per avere gli stessi servizi, se non peggiori. Come possono spiegare, giusto per limitarsi a un esempio, i pendolari che quotidianamente sperimentano sulla propria pelle costi e disagi. E che fiducia può avere nell’anno appena iniziato quel giovane su tre che è senza lavoro, percentuale mai così alta?
Di fronte a questa situazione, sarà dura per Bossi cavarsene fuori, quali che siano gli sviluppi. Se si eviterà il voto anticipato, si troverà in balìa dei riti della vecchia politica e delle non risolte contraddizioni del suo principale alleato, tali da impedire ogni vera riforma. Se si andrà alle urne, ne uscirà verosimilmente con un po’ di consenso in più, ma a spese dello stesso alleato, che ne uscirà più debole: una situazione che paralizzerà egualmente ogni azione riformatrice. In entrambi i casi, sarà dura per lui tenere unita la parte del suo elettorato duro e puro che vorrebbe andarsene da Roma, e quella che invece vota Lega perché a Roma ci resti, governando il Paese. Nel quarto di secolo della sua personale vicenda, proprio quando sembrava più alle strette Bossi ha saputo inventarsi una mossa per uscirne, oltretutto rafforzandosi. Gli ci vorrà tutta la sua fantasia, stavolta, per non trovarsi invischiato in quella palude di cui ha parlato con toni preoccupati. E nella quale, spiega Franco Califano, si salva solo il coccodrillo. Peccato che le paludi romane siano capaci di inghiottire pure quello.

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