Il volontario: io, tra i bambini perduti di Moria 

L’attivista bolzanino. Olivier Manzardo da mesi lavora tra i rifugiati reclusi sull’isola di Lesbo: «L’incendio del campo è stato un estremo atto di ribellione di persone disperate che vivono in condizioni disumane L’isola è allo estremo. La priorità è mettere in sicurezza i minori soli»


Paolo Campostrini


Bolzano. Il problema, adesso, sono i bambini. Quelli arrivati a Lesbo soli. Nel linguaggio delle agenzie di chiamano “minori non accompagnati”. Sono tanti. Quando il campo profughi ha preso a bruciare sono stati loro la prima trincea della solidarietà. «Si è capito che occorreva iniziare da questi ragazzini per fare qualcosa in quelle ore - dice Olivier Manzardo - e noi ci siamo presi in carico la loro evacuazione». Quel “noi” sta per Refugee Rescue / “Mo Chiara”, che in irlandese gaelico significa my friend. Lui invece è un bolzanino. Sta lì, in quell’isola che è diventata la cattiva coscienza d'Europa, da fine giugno. Manzardo sono anni che spende il suo tempo così, correndo in aiuto con le ong. Pochi mezzi, soldi scarsi. «Abbiamo bisogno di tutto - dice al telefonino - le nostre capacità di intervento sono limitate, attendiamo almeno i fondi europei». Ma dopo i minori l'altro problema adesso è il freddo. Che per ora è solo fresco. «Ma di notte già si alza il vento» racconta. Quello dell'Egeo. Dei canti e dei classici. Ma non servono libri, ora servono coperte sulla strada per Mitilene, altro luogo mitico, e oggi popolato nelle sue periferie da un flusso umano senza fine. Profughi afghani, siriani. Scappano dal loro misero campo distrutto dal fuoco. Sono stati loro stessi ad appiccarlo. «C'era frustrazione e rabbia. Qualcuno ha perso la testa...». In quelle tende luride, tra servizi igienici da incubo dovevano essere al massimo in 2800. Questo il numero per il quale il governo greco ha costruito il campo di accoglienza. Poi sono diventati 21mila. Un esercito. In questi giorni si trovavano a viverci in 13 mila. E il campo è diventato di detenzione, commenta Olivier Manzardo. Parla da posizioni precarie il volontario bolzanino. La connessione va e viene. Una volta è in auto, per spostarsi lungo la strada verso Mitilene presa d’assalto dai profughi in fuga che “vogliono” diventare un problema per tutti noi. Oppure è in tenda. Ma adesso l'altro problema è il virus.

È arrivato il Covid nel campo di Moria?

Sì, purtroppo. Prima è stato riscontrato un caso. Era mercoledì scorso. Allora sono iniziati i primi tamponi. E infine i test di massa. Almeno 2300 esami.

E allora che è salito il livello di tensione, no?

Sì, perché è stato istituito un primo lockdown. All'inizio ristretto. Successivamente esteso e intensificato. Alla fine da Moria non si poteva ne entrare ne uscire. Un campo di prigionia.

È allora che è esplosa la rabbia?

Evidentemente. Ci sono stati molti casi positivi. Il virus era certificato nel campo. Paura, frustrazione, panico. Si è visto di tutto. E voglia di uscire da lì. Qualcuno ha appiccato il fuoco. Poi il disastro.

Dove sono i positivi?

Stipati in quarantena in uno spazio molto ristretto. Non so come possano viverci. Sono almeno 80 letti in pochi metri. In una tenda.

Perchè il fuoco?

Moria ha voluto dire al mondo che è impossibile andare avanti così. Un gesto estremo. Condannabile. Ma è successo. Ora Sono tutti usciti. La gran parte si trova in cammino o ferma sulla strada che porta a Mitilene, la più grande dell'isola. Ci sono problemi con gli abitanti, ovvio. Lesbo aveva da poco riaperto la stagione turistica. Per loro è un disastro.

E per voi?

Anche. Tante tende sono andate distrutte. Metà degli abitanti del centro è senza un tetto. E chi è rimasto vive tra fumo e rovine. Molti si sono spostati verso la costa ma i rischi che la situazione esploda sono evidenti.

Del tipo?

La Grecia ha dichiarato lo stato d'assedio e ha inviato le forze speciali. Lesbo e Moria sono militarizzati.

Che spazi di manovra avete?

Pochi. Ma si continua. Prima si teneva solo la linea del cibo. Si distribuivano generi alimentari. In parte lo si fa ancora. Ma dopo l'incendio la prima linea è diventata l'evacuazione dei minori senza genitori. Li abbiamo tutti portati al sicuro. Poi la raccolta delle coperte. Sono diventate un genere di primissima necessità in questa stagione. Il dramma è che non c’è un piano.

Cosa significa?

Che si vive alla giornata. Centinaia sono sulle strade, altre senza un tetto. Non c'è ancora un progetto di ricostruzione. Sinceramente non so cosa accadrà, come se ne potrà uscire al di là dell'assistenza quotidiana in emergenza.

Lei come si è organizzato?

Ci si sveglia presto la mattina e si lavora subito al reperimento dei beni necessari. Esaurito il trasferimento dei minori si prova a coordinarsi con le autorità. Ma è difficile. O anche con le altre ong. Si gira tutto il giorno provando a coprire i buchi dell'assistenza governativa. Sono enormi. Ma le nostre risorse invece sono limitate.

Chiedete aiuto?

A chiunque possa darci una mano.

E il futuro?

Drammatico se continua così. Per capire di cosa stiamo parlando, qualche mese fa la van der Leyen definì Tessalonica e la Grecia il “muro europeo”. Moria è nata in questo clima.

Manca l'Europa?

Pare che sia impegnata su altri fronti adesso. Il Covid, la crisi economica, i fondi. Ma qui potrebbe scoppiare tutto.

Anche la guerra civile?

Spero di no. Pure se c’è molta tensione tra i profughi e anche tra gli abitanti dell'isola.

Lei che farà?

Almeno fino a novembre resto a Moria. Poi vedo.













Altre notizie

l’editoriale

L’Alto Adige di oggi e di domani

Il nuovo direttore del quotidiano "Alto Adige" saluta i lettori con questo intervento, oggi pubblicato in prima pagina (foto DLife)


di Mirco Marchiodi
la promessa

Kompatscher: «Adesso basta: stop a case costruite per i turisti» 

L’emergenza abitativa. La risposta del governatore ai sindacati: «Gli alloggi nelle nuove aree convenzionate solo per residenti stabili». I rappresentanti dei lavoratori: «La zona di ponte Roma resti produttiva». Il sindaco: «Bisogna ampliarsi nei centri limitrofi»


antonella mattioli

Attualità