In cento dormono sotto i ponti 

Emergenza freddo. A decine in lista d’attesa per ricevere un posto letto. Intanto il Comune sgombera ponte Campiglio e requisisce vestiti e cibo La città solidale dona coperte e indumenti. Papadam Diop: «Ogni settimana 30 telefonate da chi non ha più un tetto, una famiglia, i documenti»


Sara Martinello


Bolzano. Cento persone senza un letto. E l’inverno sempre più vicino. Tra loro anche la dozzina di giovani uomini che venerdì scorso hanno subito lo sgombero di ponte Campiglio vedendosi portare via il poco che avevano.

Il più giovane ha 16 anni: «Viene dal Gambia, è in Italia da due anni. Ora vive per strada, secondo me ha anche perso il permesso di soggiorno», dice Papadam Diop, che ieri insieme ad altri volontari ha portato nel parco della stazione una ventina di coperte, pantaloni, maglie, tappeti su cui stendersi, giacconi – più di dieci quelli portati da Diop e da sua moglie Ndella – per chi non ha niente. Per chi non fa yoga, per chi non ha nulla da cantare sulle note di una chitarra. Per chi quella ruota la vedrà solo dal basso. «Servirebbero anche salviette intime e assorbenti, noi ce li fabbrichiamo strappando magliette – avverte una donna senza fissa dimora –. Se no li rubo. Costano troppo».

Lo sgombero del ponte.

«Prima sono passati poliziotti in borghese. Hanno detto ai ragazzi di mettersi via le loro cose, li hanno informati dello sgombero. Ma poi la polizia è arrivata e ha portato via tutto, vestiti, coperte, biscotti, bevande, tutto buttato via». Così Papadam Diop racconta lo sgombero di ponte Campiglio disposto dal sindaco Renzo Caramaschi. «Pioveva, era notte, e quei 12, 13 ragazzi se ne sono dovuti andare con ciò che avevano addosso, a cercare riparo altrove». Uno dei ragazzi sa a chi rivolgersi. A Diop. Che così organizza una raccolta di beni di prima necessità, da ripetere domenica prossima.

L’emergenza si allarga.

Nel frattempo, Diop accompagna tre dei ragazzi – uno provvisto di permesso di soggiorno – alla Caritas, ma purtroppo di posto per loro non ce n’è. «Ieri (sabato, ndr) uno di loro mi ha detto di essere stato chiamato, gli hanno offerto un letto per un mese. E se in un mese uno non trova lavoro che fa, torna in strada? Prima di sgomberare bisogna pensare a un’alternativa. Altrimenti uno si sistema da un’altra parte, e il problema resta». Ultimamente sono una trentina alla settimana i migranti senza un posto dove andare che chiamano Diop chiedendogli aiuto. «Il fenomeno dei migranti senza un tetto sopra la testa sta aumentando», dichiara lui.

Lo yoga e le storie.

L’idea è di ripetere ancora l’iniziativa di distribuzione. Almeno questa non la si può vietare. I pranzi popolari Papadam e Ndella Diop li facevano per i ragazzi, per cercare di dar loro un pasto. In cambio ricevevano – loro e tutti coloro che davano una mano – conoscenza, coraggio, una nuova spinta all’accoglienza. «Lo yoga, la danza, le chitarre sono tutte cose piacevoli – commenta Diop – ma i ragazzi non ci guadagnano niente. Stavo cercando di costruire una soluzione per loro: il pranzo non era solo un pasto, serviva per capire che cosa si nasconda dietro i ragazzi. Ogni volta scoprivo qualcosa di nuovo, conoscevo persone, ascoltavo storie nuove. Gente che ha perso il permesso, la casa, la famiglia, il diritto di asilo. Prima di arrivare in Italia, chi parta per esempio dal Gambia passa sette anni tra il Senegal, il Marocco, la Libia. Il percorso migratorio all’interno dell’Africa dura anni. Le autorità queste storie devono conoscerle».

Cento in lista d’attesa.

Nel parco della stazione membre dell’amministrazione comunale ci sono, anche se in veste di volontarie. Sono l’assessora Maria Laura Lorenzini, la referente per i richiedenti asilo del consiglio comunale Chiara Rabini e Monica Natteri Rodriguez della consulta migranti. È Rabini a tracciare il quadro dell’emergenza: «Cento persone sono in lista d’attesa per ricevere un posto letto. Attualmente i posti d’emergenza sono 95 per gli uomini, in via Comini, e 22 per le donne, a Conte Forni. Circa il 40% di loro sono i famosi “fuori quota”, richiedenti asilo che dovrebbero essere accolti immediatamente in un Cas cittadino. Ma le procedure durano mesi, quindi sono costretti ad aspettare in strada o nei centri per persone senza fissa dimora. Intanto una valorizzazione della faccia umana della città da parte delle istituzioni contribuirebbe ad arginare la paura di questo parco».

©RIPRODUZIONE RISERVATA.













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