Infarto fatale, nessuno se ne accorse 

Morì una paziente di 53 anni. Due medici del pronto soccorso accusati di non aver letto correttamente il tracciato delle analisi


di Mario Bertoldi


BOLZANO. Si era presentata al pronto soccorso dell’ospedale San Maurizio verso le 18 per dolori addominali. In un primo tempo erano stati ipotizzati problemi di natura gastrica ma la paziente morì per le conseguenze di un infarto (in atto da alcune ore) verso le 22.30. Sono queste, in estrema sintesi, le tappe di un dramma che due anni fa portò una donna bolzanina di 53 anni a morire in un letto del reparto di cardiologia. La paziente non era in precarie condizioni di salute (anche se qualche problema clinico lo aveva) ma quella sera i medici che si occuparono di lei non riuscirono a leggere in termini corretti un elettrocardiogramma fatto in fretta e furia in quanto il pronto soccorso era oberato di lavoro. Quando ci si rese conto che la donna stava morendo per le conseguenze di un infarto in atto da diverse ore, i danni al cuore erano ormai irreversibili e non fu più possibile fare nulla per salvare la vita alla malcapitata. I fatti risalgono a luglio 2016. L’esposto depositato dai famigliari nelle settimane successive ha messo in moto la Procura. Due medici del pronto soccorso sono stati iscritti sul registro degli indagati con l’ipotesi di accusa di omicidio colposo. Sono difesi dagli avvocati Marco Boscarol e Marco Mayr. L’inchiesta è tutt’altro che conclusa. L’altro pomeriggio davanti al giudice delle indagini Andrea Pappalardo i consulenti chiamati in causa per fornire al magistrato una possibile risposta di quanto effettivamente accadde, hanno illustrato le rispettive conclusioni nel corso di un incidente probatorio disposto dal giudice per capire ancora in sede preliminare se l’ipotesi accusatoria possa avere un fondamento. Le posizioni dei periti sono risultate diametralmente opposte ed anche il confronto in aula, l’altro pomeriggio, non ha portato a conclusioni univoche. I consulenti del tribunale e della parte civile (cioè dei famigliari della vittima, assistiti dall’avvocato Amanda Cheneri) hanno infatti ribadito che tra le 18 e le 19, quando furono visionati i tracciati dell’elettrocardiogramma, si sarebbe potuto fare ancora qualcosa per salvare la donna. Il primo consulente della difesa (il secondo verrà sentito il 21 novembre in occasione della prossima udienza) si è invece detto convinto del contrario e cioè che la situazione fosse ormai ampiamente compromessa. In altre parole la difesa sembra ammetter che in fase di analisi dei tracciati clinici vi sarebbe stato un evidente errore di valutazione, ma questo errore sarebbe stato ininfluente in quanto il muscolo cardiaco sarebbe stato già ampiamente compromesso. La situazione sarebbe stata resa più complessa anche dal fatto che la donna non presentava i classici sintomi dell’infarto (tipo forte dolore al petto o ad un braccio) anche se anche se può succedere che poco prima o durante un infarto possa sopraggiungere il vomito (come nel caso in questione). Tra le tesi difensive c’è anche, come già accennato, al superlavoro a cui sono chiamati abitualmente i medici del pronto soccorso. Quando la donna si presentò per chiedere un aiuto sanitario i due medici ora inquisiti avevano in carico una quindicina di pazienti a testa, tra cui alcuni in codice rosso.

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