L’Alto Adige nel 2030: più anziani e stranieri

Gli abitanti saliranno a quota 564 mila: il 19% avrà un background migratorio Uno su tre sarà over 60. Si sposterà (molto) in avanti l’età lavorativa dei giovani


di Alan Conti


BOLZANO. Nel 2020 avremo più decessi che nascite. È la lapidaria foto della statistica curata dall’Astat e presentata ieri nell’opuscolo “Previsione sull’andamento demografico fino al 2030”. Uno sguardo oltre l’ostacolo dei prossimi anni arrivando fino al 2030 per un quadro sociale e numerico dell’Alto Adige che non è proprio dei più incoraggianti. Dal punto di vista strettamente quantitativo la popolazione aumenterà ancora, ma solo ed esclusivamente a causa del saldo migratorio. In generale si passerà dai 514.516 abitanti di oggi ai 564.586 del 2030 con un incremento del 9,7%. Si palesano, insomma, alcune verità popolari: gli altoatesini fanno meno figli e l’immigrazione continua ad essere un fenomeno costante. Prendendo per buono il ritmo attuale dei nuovi cittadini, infatti, si calcola che la loro incidenza percentuale salirà fino al 19% rispetto all’8,9% di oggi. Può essere interessante, invece, andare a scoprire il ritmo dei flussi migratori in entrata che sono stati negativi fino al 1991 per poi crescere regolarmente negli anni Novanta e accelerare bruscamente nei primi anni del nuovo Millennio fino al 2007. Da lì la fase è diventata oscillatoria. Non è quindi esatta la sensazione diffusa di una nuova immigrazione sempre crescente. Una quota stranieri che rimane ragguardevole ma non sufficiente a frenare il complessivo fenomeno dell’invecchiamento demografico che colpisce il complesso della popolazione: nel 2030 una persona su tre avrà più di 60 anni. Intuibile la conseguenza dell’innalzamento dei rischi di mortalità. Andando sui numeri stretti l’indice di vecchiaia, ovvero il rapporto tra over 65 e ragazzini sotto i 14 anni, era 59,4 nel 1986 e diventerà 170,8 nel 2030. Significa che per 100 giovani ci saranno 175 seniores: una proporzione che avrà ricadute a cascata pure sul mondo del lavoro. Non a caso alla presentazione dei dati hanno partecipato anche il direttore della ripartizione Lavoro Helmut Sinn e il direttore di Afi-Ipl Stefano Perini oltre all’assessore provinciale competente Waltraud Deeg. A sottolineare le possibili criticità in ambito sociale ed economico è, per esempio, l’indice di dipendenza dagli anziani che prende in considerazione il rapporto tra pensionati e lavoratori. Nel 1986 si viaggiava alla quota di 16,8, nel 2030 schizzerà a 40,1. Naturalmente il tutto è più grave per i giovani che assistono pure a uno spostamento dell’età lavorativa su fasce più alte. Il 25,9% dei lavorativi attivi, infatti, appartiene alla fascia d’età 15-29 anni, il 46,5% all’età media tra i 30 e i 49 anni e il 27,6% tra i 50 e i 64. Questo terzo valore nel 2030 salirà a 34,3%: un classico quando si decide di bloccare i turn over.

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