L'asse mobile Roma-Bolzano

di Francesco Palermo


Francesco Palermo


La politica delle alleanze, degli accordi, dei voti, dei sottobanco fa notizia. Alcuni sperano - e altri temono - che dopo l’annunciata astensione dei parlamentari della SVP sulla fiducia al governo si sia inaugurata una nuova stagione politica nei rapporti tra Provincia e Stato. Anche se così fosse, non cambierebbe molto.
E’ ben altro, invece, ciò che conta davvero nel determinare le relazioni reali tra Bolzano e Roma.
L’astensione della SVP sulla fiducia ed il contestuale sblocco di alcune vicende pendenti tra i livelli di governo ha dato adito a molte speculazioni sul collegamento tra i due eventi. Ma si è scoperta l’acqua calda. La SVP si è sempre comportata così a Roma, alleanze strutturali non esistono, ogni voto ed ogni accordo hanno natura tattica. E’ una strategia che ha sempre funzionato, in tempi di prima e di seconda Repubblica, e che non deve sorprendere: ha salvato più governi la SVP di quanti ne abbia affossati l’opposizione. La scelta di stare fuori dai blocchi nazionali e di non perseguire una politica nazionale ma solo locale, usando la sponda romana come mero riflesso della strategia locale, è in fondo connaturata al carattere etnico-territoriale del partito. Nemmeno se lo volesse la SVP potrebbe entrare in logiche nazionali - di una nazione che, per statuto, non le appartiene. La stessa strategia è comune a molti altri partiti etnici in Europa e nel mondo, perché più che una scelta politica è una caratteristica intrinseca dei partiti di questo tipo. La compatibilità di questo atteggiamento con l’art. 67 della Costituzione, ai sensi del quale ogni parlamentare “rappresenta la Nazione” (con la N maiuscola.) ed “esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”, è una interessante questione accademica, ma senza reale rilievo pratico. Dunque la correlazione tra l’astensione e lo sblocco di alcune trattative pendenti è evidente ma non c’è nulla per cui scandalizzarsi.
E’ certo vero che il clima politico e di conseguenza i rapporti tra Bolzano e Roma (e tra le rispettive maggioranze politiche) sono cangianti e soggetti, come tutte le vicende umane, ad alti e bassi. E stante che è meglio avere rapporti buoni piuttosto che cattivi, sarebbe errato pensare che i rapporti politici siano così determinanti. Perché l’autonomia è una macchina che funziona in base al principio bilaterale. La cooperazione è imposta istituzionalmente, e questo prescinde dalla qualità dei rapporti politici. Questi sono al più il grasso nell’ingranaggio: la giusta quantità è utile a far funzionare meglio il sistema, troppo lo rende scivoloso, come insegna l’esperienza di altre autonomie che solo sui rapporti politici hanno puntato, come la Sicilia, che infatti ha un’autonomia di carta. E in ogni caso la macchina dell’autonomia speciale è progettata per funzionare comunque. Insomma, ciò che conta è la correttezza istituzionale.
Il clima complessivo, la qualità dei rapporti tra Bolzano e Roma, sono determinati da altri fattori, a partire dalla stima e dalla fiducia istituzionale. Una fiducia che è fortemente asimmetrica: Roma ce l’ha verso Bolzano, ma Bolzano non ce l’ha verso Roma. Non da oggi, ma almeno dai tempi del primo statuto. E’ su questo tipo di rapporti - che si costruiscono nel quotidiano, sulle piccole cose, e passano per l’amministrazione più che per l’alta politica - che andrebbe più correttamente misurata la temperatura delle relazioni bilaterali.
L’esempio più recente riguarda un episodio apparentemente marginale, la decisione (poi sospesa) di impedire ai treni austriaci e tedeschi che collegano Monaco e Innsbruck con Milano, Bologna e Venezia, di effettuare fermate intermedie in Italia, tagliando così fuori Bolzano. Una follia, che non reggerebbe un minuto ad un esame di compatibilità comunitaria, espressione di una mentalità meschina di chi non regge (o peggio, teme di non reggere) la concorrenza e si vendica con piccole, miserabili provocazioni. E poi, per salvare la faccia, fa una gentile concessione per tre mesi, derogando alla sua stessa deroga, pur sapendo che non potrà mai renderla effettiva. Così, tanto per far vedere di avere il coltello dalla parte del manico, senza in realtà avercelo, mostrando così solo debolezza e minando la fiducia nel sistema.
E’ solo un episodio, l’ultimo in ordine di tempo. La storia recente d’Italia è lastricata di episodi di questo tipo. E altrettanto lo è quella della collaborazione dell’Alto Adige con Roma, che è basata sul principio bilaterale non diversamente dalle relazioni internazionali. Sono episodi come questi a distruggere la fiducia istituzionale, ad avvelenare il clima politico, e a rendere cinico l’atteggiamento complessivo, che è nella migliore delle ipotesi quello di vedere lo Stato italiano come un limone da spremere. Su episodi come questo si forma la psicologia collettiva della popolazione di lingua tedesca di questa Provincia (e sempre più anche di quella di lingua italiana), e sono queste cose a determinare i rapporti bilaterali più delle strategie politiche contingenti.
Magari bastassero qualche voto tattico della SVP o qualche concessione interessata da parte di Roma per assicurare rapporti buoni. Il problema ha radici molto più profonde, e la soluzione è assai più complessa. Che la SVP si scelga come partner di giunta il centrodestra o il centrosinistra non cambia praticamente nulla. Tranne, ovviamente, per gli interessati.

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