L’ospedale senza confini, il chirurgo è del Camerun 

Lavora nel reparto di Chirurgia vascolare. L’ha voluto il primario Perkmann


di Antonella Mattioli


BOLZANO. «In genere succede così: quando ai pazienti dico che il tedesco non lo parlo ancora bene, mi sento rispondere che non c’è problema e vorrebbero proseguire in italiano. Ma insisto per parlare in tedesco: è un’occasione per esercitarmi e io le sfrutto tutte». Mistral Njila, 38 anni originario del Camerun, nel settembre del 2017 ha deciso di accettare la proposta del primario Reinhold Perkmann e venire a lavorare nel reparto di Chirurgia vascolare dell’ospedale San Maurizio. Ha lasciato Modena, dove si è laureato e lavorava nel reparto di Chirurgia vascolare che, dopo il San Raffaele di Milano, è il centro più importante in questo settore a livello nazionale.

Si è trasferito con tutta la famiglia a Settequerce: la moglie Danielle, ingegnere informatico, lavora a “Informatica Alto Adige”; le figlie Esther e Keren di 7 e 11 anni frequentano l’istituto “Marcelline”.

Mistral che, oltre all’italiano, parla francese e inglese studiati in Camerun, il prossimo anno punta a conseguire la certificazione linguistica in tedesco, condizione indispensabile per far sì che il contratto, attualmente annuale, rinnovabile per altri due anni, diventi a tempo indeterminato.

L’applicazione “morbida” del requisito del bilinguismo dovrebbe - questo è l’auspicio - consentire almeno in parte di coprire le gravi carenze di personale medico.

Un problema europeo che in Alto Adige si fa sentire in maniera più pesante proprio perché è richiesta la conoscenza certificata di entrambe le lingue.

Mistral è uno dei medici che hanno deciso di raccogliere la sfida - che non è solo professionale ma anche linguistica - e venire a lavorare in Alto Adige. Raccontiamo la sua storia, il percorso che sta facendo per imparare la lingua di Goethe e, soprattutto, il perché di questa scelta.

Il tedesco. «Quando non sono in ospedale, studio il tedesco e soprattutto ascolto radio e televisione germanica e austriaca. Lo imparerò, ne sono certo. Del resto, anche quando sono arrivato in Italia dal Camerun nel ’99, non parlavo neppure una parola di italiano. Non credo sia un ostacolo insormontabile, anche perché quando parli già tre lingue, diventa tutto più facile».

Siccome però non è sempre tutto rose e fiori, a sostenere e ad incoraggiare Mistral c’è Reinhold Perkmann, il primario, un professionista appassionato del suo lavoro, tornato nel 2012 in Alto Adige dalla Clinica universitaria di Münster in Germania, per dirigere il reparto di Chirurgia vascolare e toracica del San Maurizio e soprattutto creare un team giovane.

«Münster è centro d’eccellenza a livello europeo nel nostro settore - spiega Perkmann -. Per questo ci ho pensato un po’ prima di accettare la proposta e il primo anno è stata oggettivamente dura: non passava giorno in cui non mi pentissi. Da allora sono passati sei anni e sono contento di aver fatto quella scelta: in reparto, punto di riferimento a livello provinciale, siamo in quattordici. Facciamo 1.200 interventi all’anno e seguiamo circa 10 mila pazienti. Dei cinque colleghi, arrivati dal centro e dal sud Italia, senza patentino di bilinguismo, tre lo hanno già ottenuto, gli altri due - uno di questi è Mistral - conseguiranno la certificazione nei prossimi mesi. Ne sono certo. Anch’io faccio la mia parte: con loro parlo in tedesco e li correggo quando sbagliano».

La scelta. Ma perché un professionista lascia un reparto prestigioso com’è quello di Modena per venire a Bolzano, quando invece - parlando già tre lingue - potrebbe andare in qualsiasi posto in Europa?

«Oggi c’è grossa richiesta di medici anche all’estero - dice il chirurgo camerunese - dove i compensi sono molto più alti. Ma io e la mia famiglia vogliamo rimanere in Italia, perché è un Paese che amiamo. Ho scelto di venire al San Maurizio, perché avevo voglia di fare nuove esperienze e crescere professionalmente. Il primario mi ha dato la possibilità di venire, vedere, capire se qui avrei trovato quello che cercavo. Ho provato un mese e ho deciso di restare. Il clima in reparto è molto stimolante e poi c’è un bel mix tra nuove tecnologie, che anche nel nostro settore consentono oggi di fare interventi sempre meno invasivi, e chirurgia tradizionale».

La preoccupa l’ondata di razzismo che sta attraversando l’Italia e l’Europa?

I cafoni. «La gente ha paura di ciò che non conosce, alla fine però è più intelligente di quel che si crede e sa distinguere tra realtà e propaganda politica. Più che razzisti, nella mia esperienza personale, ho incontrato cafoni».

Ovvero?

«Capita ancora a volte di trovare persone che mi dicono: “Scusi infermiere, posso parlare con il chirurgo?” Quando spiego loro che sono io il chirurgo, hanno un attimo di smarrimento. Comunque capita anche alle colleghe che si sentano dire: “Voglio parlare con un medico”».

Perché ha scelto di fare Medicina in Italia?

L’Italia. «Perché in Camerun c’è un’unica facoltà di Medicina ed è praticamente impossibile entrarci. Però io volevo assolutamente fare il medico: è il mio sogno di quando ero bambino e per nessuna ragione al mondo ci avrei rinunciato. Vede questa ferita sulla mano? Mia mamma mi aveva portato dal medico, perché mi era entrato qualcosa e la mano si era gonfiata. È stato in quell’occasione che ho deciso cosa fare da grande».

Per soddisfare le ambizioni di quel figlio, diplomato alle scuole superiori con il massimo dei voti, la famiglia di Mistral ha fatto una raccolta fondi tra i parenti.

La colletta. «Intendiamoci, la mia è una famiglia normalissima - racconta - ma non aveva la possibilità di mantenermi all’università in Italia. I miei genitori però riuscirono a mettere assieme due milioni di vecchie lire. E questo mi ha consentito di arrivare con regolare permesso a Modena nel 1999 e cominciare a studiare per realizzare il mio sogno. Per mantenermi ho fatto tanti lavoretti, come per altro molti studenti e non solo africani. Mia moglie, che pure è originaria del Camerun, ha avuto un cammino più facile, perché lei viene da una famiglia ricca. Che non aveva problemi a mantenerla agli studi, al Politecnico di Milano».

In Camerun Mistral ci è tornato per l’ultima volta nel 2005, per sposarsi.

«Poi avremmo voluto ottenere il riconoscimento del matrimonio in Italia; ci abbiamo rinunciato perché ci hanno spiegato che le pratiche burocratiche avrebbero richiesto un sacco di tempo. Il consiglio è stato di sposarci una seconda volta. Cosa che abbiamo fatto e così si festeggia due volte ».

Adesso sono i parenti a venirli a trovare. «In Alto Adige - dice - non sono ancora venuti, perché siamo qui da poco, ma sono curiosi di vedere un posto completamente nuovo per loro. Mentre io - ed è uno dei motivi per cui ho accettato l’offerta - l’Alto Adige lo conosco da tempo, perché ci venivo in vacanza».













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