L’Unione: «A rischio chiusura fino al 7 per cento dei negozi» 

Gli effetti della pandemia. A resistere solo gli alimentari. Il settore più colpito è l’abbigliamento: vestiti e scarpe Confesercenti rincara: «La situazione è così difficile che molti non possono permettersi di chiudere: costa troppo»


Davide Pasquali


Bolzano. C’è chi ha già chiuso, chi lo farà oggi o domani, chi non riaprirà dopo l’ennesimo ormai quasi certo lockdown di febbraio. Dati ufficiali? Al momento non ne esistono, al di là delle vetrine con le scritte svendita totale per chiusura, affittasi o vendesi che si vanno moltiplicando. Si sa però di sicuro che a seguito della pandemia molti negozi chiuderanno. Quanti? Difficile dirlo a priori, ma esiste una stima, ricavata dall’Unione commercio grazie ai feedback ricevuti dagli oltre 5.600 soci: nel settore no food abbasseranno per sempre le saracinesche fra il 5 e il 7% degli esercizi commerciali esistenti. Ma non è tutto, come fa notare Confesercenti, perché la situazione è talmente complicata che più di qualcuno, pur volendo, ora non riesce a chiudere. Perché per farlo servono soldi, e non ce ne sono più.

Come chiarisce Philipp Moser, presidente dell’Unione commercio, «sulla scorta dei feedback raccolti di recente dai nostri 5.600 soci, se nel settore alimentare cambierà poco o nulla, nel non food ci attendiamo una diminuzione degli esercizi commerciali fra il 5 e il 7%».

Il sensibile calo riguarderà soprattutto il settore moda. «Chi è proprietario dei muri del locale in questo momento resiste. Per altri la situazione è difficile, non solo a Bolzano ma anche nel resto della provincia. A pesare tantissimo sono i costi del magazzino. Nel settore della moda o delle scarpe si parla di centinaia di migliaia di euro a negozio. I fornitori di solito si pagano prima: c’è un acconto quando si ordina la merce, anche perché viene prodotta apposta; il resto si paga dopo, a merce fornita».

Si pensi a quest’inverno. «La merce è stata ordinata a gennaio-febbraio dell’anno scorso, prima del Covid, quando si pensava sarebbe arrivato un inverno normale. Adesso i magazzini sono pieni pieni, quest’anno è un disastro. Si sono già fatti sconti altissimi prima di natale ma non sono stati sufficienti».

L’ufficio attività economiche del Comune o la Camera di commercio ancora non hanno diramato dati ufficiali su questo inizio 2021. E anche le associazioni di categoria fanno difficoltà a fornire cifre precise. Il direttore di Confesercenti Mirco Benetello aggiunge poi un altro tassello a questo puzzle: «Nella prima ondata, chi aveva alle spalle un solido patrimonio - personale, famigliare, aziendale - ha resistito. Gli altri hanno chiesto dei prestiti, una formula fortemente incentivata a tutti i livelli. Però chi ha stipulato mutui 7,8, 10 mesi fa, ora deve continuare a onorare questi prestiti». Facile poi dire chiudo, a volte proprio non si può. «C’è chi ha uno scoperto in banca, chi ha acceso un mutuo, chi deve pagare i fornitori per la merce ordinata e ricevuta ma difficilmente tutta venduta». Per non parlare del Tfr da liquidare ai dipendenti. E comunque, la chiusura di una attività porta con sé una lunga serie di adempimenti burocratici e soprattutto economici che non tutti sono in grado di sostenere. «Per il momento, i più cercano di tenere botta. Ma tanti arriveranno a chiudere. I primi veri danni a nostro avviso cominceranno a evidenziarsi tra l’inizio e la fine dell’estate. Lì cominceremo a poter davvero contare le vere sofferenze». Saranno allora i dati degli uffici comunali delle attività economiche e il saldo del registro imprese della Camera di commercio a mostrare le conseguenze vere del virus.













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