La storia è sentirsi tutti a casa


Sergio Baraldi


I lettori troveranno oggi un dibattito tra il segretario della Svp Theiner e il vicepresidente della provincia Tommasini che lascia ben sperare. I due leader politici sono venuti in redazione e hanno preso un impegno pubblico importante: è venuto il momento di fare i conti con il nostro passato, di chiudere il capitolo drammatico del Novecento per aprire un tempo nuovo.

E italiani e tedeschi devono aprirlo insieme, riconoscendo ciascuno le ragioni degli altri e trovando una soluzione intelligente ai “relitti fascisti” che restituisca all’Alto Adige un’eredità storica comune. Soprattutto, un futuro comune. Theiner e Tommasini si sono assunti dei rischi. Sono i due politici che hanno contribuito di più a imprimere un’evoluzione positiva alla crisi del Duce a cavallo. Si sono assunti il compito di bloccare gli oltranzismi già sul piede di guerra e di arrivare a decisioni condivise. Rispetto al brutto punto di partenza, con la svendita del ministro Bondi (nella sua lettera il rappresentante del governo di centrodestra neppure parla di Alto Adige ma di “Sud Tirolo”), sembrano nascere le condizioni per innescare un circuito virtuoso. Aspettiamo i fatti. Intanto, Theiner e Tommasini organizzeranno un dibattito pubblico sul medesimo tema a Don Bosco.

E’ un’altra scelta positiva, che il nostro giornale appoggia. Già domenica scorsa avevamo messo in guardia la Svp dall’errore di una scelta unilaterale, per quanto permessa dal governo di centrodestra, e avevamo chiesto il ritorno alla responsabilità e alla partecipazione. Theiner, segretario della Svp, testimonia questo ritorno. Avevamo anche ricordato il grave ritardo italiano nell’avere lasciato cadere nel vuoto il coraggioso tentativo dell’ex sindaco Salghetti di puntare sulla riconciliazione.

Non si può archiviare il passato, e gettare le basi del futuro, senza un’operazione verità. Ora questa operazione comincia a essere compiuta. L’appello autorevole degli storici italiani e tedeschi, pubblicato ieri, conferma che il mondo della cultura, è pronto a dare un contributo importante per una soluzione che aiuti tutti a non dimenticare, ma anche a guardare oltre. Ancora una volta, i più saggi si sono dimostrati i cittadini. Con i vostri messaggi e le vostre lettere, avete raccontato la delusione, la rabbia per una decisione che vi lasciava soli. Per moltissimi l’amarezza di doversi sentire esuli in patria non si è confusa con la difesa del fascismo. Gli italiani non guardano con nostalgia al passato, non si riconoscono nel marmo del dittatore. Ma non vogliono essere esclusi dalle decisioni che riguardano la società, non intendono giocare da cittadini di serie B, né desiderano essere trattati come merce dalla giunta provinciale o dal governo nazionale. Sono i titolari del diritto di sovranità e la politica, italiana e tedesca, deve riconoscerlo. Questo è il fulcro del conflitto: la regola della democrazia e della autonomia, come spiega molto bene Guenther Pallaver nel suo articolo, certo non il busto del Duce.

E’ vero, però, che ci sono state prese di posizione, come quella dell’ex sindaco Benussi che ha assolto, se non esaltato, il fascismo, che ha dato voce a una minoranza estremista, che non rappresenta gli italiani. Quella di Benussi si segnala come un caso d’irresponsabilità politica: ha danneggiato la comunità italiana. Le sue parole sono state utilizzate da chi intendeva confezionare una rappresentazione falsa degli italiani, come di gente inaffidabile ancora legata al fascismo. Si è finto di ignorare che, in realtà, la protesta italiana era contro una visione della democrazia e dell’autonomia dove la forza della maggioranza fa saltare il modello di democrazia consensuale del nostro vivere civile.

Il Duce è stato solo il simbolo-veicolo di un malessere che aveva altre, più serie motivazioni. Ma Benussi ha offerto l’esca per una forzatura dell’oltranzismo tedesco, cui fa comodo la figura dell’italiano fascista per giustificare la decisione a maggioranza tedesca, per di più avallata da un governo italiano squalificato. In simili occasioni, non manca mai chi ha bisogno di recuperare un “nemico” per sostenere la tesi di pancia che se “quelli” non ci fossero, tutto andrebbe meglio.

Non manca chi evoca il bisogno di riduzioni, vale a dire di spiegazioni semplicistiche (per esempio: italiani “pietosi”) per raggiungere il vecchio scopo: un Alto Adige dove s’impone la versione dei radicali che, a parole, sostiene di voler cambiare tutto per poi non cambiare nulla. E’ contro queste visioni deformate che la comunità italiana deve guardarsi. E’ facile cadere nell’errore opposto di credere che il mondo tedesco straveda in funzione della propria identità e dei propri presunti interessi.

Se fosse così, Theiner non avrebbe potuto attuare la svolta. Invece, tanti cittadini ci hanno indicato la via da seguire: riconoscere la complessità degli altri, capire che nel mondo tedesco il radicalismo non prevale e non persuade, esigere rispetto. Per questo l’iniziativa di Theiner e Tommasini va sostenuta. E’ interesse generale non lasciare spazio agli imprenditori del risentimento, che puntano a incrinare l’equilibrio paritario sancito dallo Statuto. Deve fallire la concezione che sia meglio rimanere prigionieri della gabbia etnica al cui interno egemonie e subalternità sono prestabilite.

Non deve passare la parola d’ordine che il Duce è la sostanza, le regole la forma. Tutti siamo legittimati a partecipare alla ricostruzione di un rapporto più autentico con la nostra storia e con quella degli altri. I sudtirolesi sono stati vittime del fascismo, ma lo sono stati anche gli italiani.

I sudtirolesi sono stati vittime del nazismo che, d’accordo con Mussolini, voleva trascinarli in Germania, ma lo sono stati anche gli italiani. Abbiamo più storia in comune di quanto a volte immaginiamo, solo che l’abbiamo vissuta separatamente. Per troppo tempo, la distanza e il sospetto ci hanno impedito di vedere le cose che uniscono.

Per come è diventata la società altoatesina oggi, la percezione di una frattura etnica può dividere famiglie dove spesso si parlano due lingue, può suscitare diffidenza nei condomini dove si vive gli uni vicino agli altri, alzare disagi nei luoghi di lavoro. E’ questa forse la terra che vogliamo? La mossa di Theiner e Tommasini redime gli errori della politica. Il presidente Durnwalder oggi appare in sintonia con Theiner, e ne siamo lieti.

Ma sono state sue le parole iniziali che hanno provocato lo sconcerto e la reazione tra gli italiani: o siete d’accordo nel togliere il Duce o lo togliamo da soli. In crisi come queste, presidente, le parole sono pietre. Lei ha evocato la caduta della regola dell’inclusione per i cittadini italiani, a cui sarebbe concesso solo di acconsentire a una decisione già presa. Chi governa, e impersona le istituzioni, non può permettersi in Alto Adige di non tenere conto delle esigenze degli altri.

Vincerebbe la politica a somma zero, in cui uno vince e l’altro perde, che invece di risolvere i problemi, come si è visto, li crea. Dobbiamo imparare, a partire dalla Svp, che su alcuni valori e temi deve prevalere la logica a somma positiva, dove tutti vincono qualcosa. Anche il Fli ha il suo bilancio da fare: non si può cianciare di nuovo centrodestra liberale e poi ospitare tra le proprie file Benussi e le sue farneticazioni. Se il Fli vuole essere credibile, deve essere coerente. Una presa di distanza verbale non basta, lo sappiano.

Una riflessione ce la aspetteremmo anche dai deputati della Svp: in passato il mondo tedesco viveva la sindrome della minoranza nazionale accerchiata e, allora, si poteva forse comprendere un pragmatismo utilitaristico in Parlamento; ma oggi l’Italia non accerchia nessuno, semmai potrebbe scollarsi, e non si possono compiere scelte che feriscono la moralità della politica. Quale moralità? Come deputati, assumere la responsabilità di tutti i cittadini del territorio anche gli italiani. Non si può afferrare con spregiudicatezza l’occasione offerta da un ministro imbelle, e dimenticare le conseguenze possibili su una parte della propria società. Se la Svp, a seguito della disponibilità del governo, avesse posto la questione agli italiani in giunta provinciale e al Comune, probabilmente avrebbe ottenuto lo stesso il risultato. Il dialogo era già avviato. Il centrodestra già collaborava. I tempi sono maturi.

Avete scelto di trasformare la politica in un mercato. Alla fine, avete dato l’impressione di avere smarrito il senso del vostro dovere. Invece, fa piacere che Tommasini riconosca i ritardi del Comune e del Pd, che non hanno affrontato, quando potevano, la delicata questione dei monumenti. Tuttavia, oggi il sindaco Spagnolli non perde occasione per dare consigli e proporre soluzioni. Gli chiedo: prima non dovrebbe ammettere di non avere mosso un dito per cinque, lunghi, anni nel timore di essere messo sotto accusa come Salghetti? Apriamo la nuova fase, ma ognuno confessi i suoi limiti. La questione dei monumenti somiglia molto a quella che gli studiosi di politica definiscono una “crisi cognitiva”.

Avviene quando una società perde la capacità di elaborare saperi e competenze socialmente utili, che creano coesione; anzi, emerge la tendenza a ritenere che sapere non serva a riconoscere il cammino da intraprendere. In queste crisi c’è un ritorno all’autoinganno, all’approssimazione. L’autoassoluzione vale per tutti, si esternalizzano le colpe. Il sentimento di questa crisi rischia di essere il rancore.

L’esito la perdita di valore delle regole. In queste situazioni, manovra chi tenta di capitalizzare sia sulle egemonie sia sulle subalternità che si possono delineare. Oggi simili tentativi si vedono all’opera nel mondo tedesco e in quello italiano. La chiave per rispondervi è ricreare le condizioni della fiducia. Fiducia nella possibilità di una diversa costruzione sociale e istituzionale. Abbiamo bisogno di investire sul meglio di noi, qualunque sia la nostra lingua madre. Abbiamo necessità di sostenere le energie che non spingono il conflitto, ma la liberazione da fantasmi e pregiudizi. Essere all’altezza della prova, sentirsi qui tutti a casa: è il presente del nostro domani.













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