Le nuove idee in marcia non aspettano

di Sergio Baraldi


Sergio Baraldi


E’ stato sufficiente che il Cai decidesse di non rimanere prigioniero dei pregiudizi, delle tradizioni, dei nazionalismi, e proponesse di ribattezzare la “Vetta d’Italia” in “Vetta d’Europa”, nell’ambito dell’accordo sulla toponomastica, perché tutta la discussione mutasse di tono e di qualità. Una scelta coraggiosa, che ha spinto il mondo tedesco a confrontarsi con una proposta spiazzante e, nello stesso tempo, interessante perché offre alla società intera un nome nel quale riconoscersi, senza far prevalere nessuno, ma facendo prevalere tutti. E’ stato sufficiente che la scuola italiana accelerasse sul bilinguismo, che moltiplicasse la sperimentazione in molte classi sulla spinta delle famiglie, di presidi e docenti attenti ai mutamenti sociali, che la scuola subisse una scossa salutare. La scuola italiana sembra oggi contagiata dall’idea del bilinguismo e le iniziative si moltiplicano. E’ interessante notare che, ora, anche la scuola tedesca non vuole più stare a guardare, e preme per incamminarsi verso il cambiamento.
Lo stesso presidente Durnwalder, nel forum al nostro giornale, ha avanzato dei dubbi solo sul metodo dell’immersione (che gli esperti però giudicano il più adatto) senza mettere in discussione l’esigenza o l’obiettivo.
Prende tempo, ma anche lui ha capito che il clima è cambiato.
E’ stato sufficiente che il presidente Pan e, con lui, il vertice del mondo economico, da Ebner a Plattner e altri, ponessero la questione della modernizzazione del sistema economico e delle infrastrutture, dall’autostrada all’aeroporto, e parlassero liberamente, che un meccanismo arrugginito cigolasse, si muovesse, e s’incrinassero antiche inerzie. I segni che la società altoatesina sta cambiando crescono. E il nostro giornale, che il cambiamento l’ha evocato, guarda con soddisfazione un quadro meno statico del passato, più consapevole della complessità del mondo moderno. Sono indicazioni promettenti. Ma non bastano a farci dire che le cose sono cambiate. Chiediamoci: che cosa abbiamo imparato? Che anche l’Alto Adige è percorso da fratture trasversali e quella fondamentale è la battaglia delle idee tra vecchio e nuovo, tra chi vuole centralizzare e chi, invece, chiede nuovi spazi d’autonomia, individuali e collettivi. Per anni la comunità italiana si è mossa convinta che una minoranza fosse inevitabilmente subalterna alla maggioranza tedesca e che i rapporti di forza demografici stabilissero, una volta per tutte, dove sta la ragione. E’ una visione che ha le sue motivazioni, ma che non tiene conto del ruolo che oggi ha l’innovazione. Persino qui la società è più fluida, maggioranze e minoranze sono meno ingessate di un tempo. La vera posta in palio è chi guida l’innovazione di sistema. Si può essere una minoranza linguistica, ma si può diventare maggioranza culturale e politica, se si ha coraggio e competenza per indicare la via al territorio. Non si tratta di difendere con miopia i propri interessi, per esempio quelli italiani, ma di tutelare l’interesse generale della società. Un particolare settore sociale può avere successo se sa presentare i propri obiettivi come obiettivi universali della comunità. Se riesce a generalizzare la propria rappresentazione. E’ la grande intuizione dell’egemonia, immaginata da un uomo chiuso fino alla morte in un carcere fascista, Antonio Gramsci, studiata oggi da inglesi e americani. La scuola italiana ha dato l’esempio e si deve dare atto all’assessore Tommasini e al suo staff di aver governato con abilità per costruire le condizioni affinché il fermento che covava nelle aule trovasse uno spazio di realizzazione. Se il bilinguismo è all’ordine del giorno come una priorità, è per merito di professori, presidi, famiglie che hanno saputo far sentire la loro voce, e provocato un’identificazione generale con gli obiettivi che indicavano.
Come ha scritto il nostro Fattor qualche giorno fa, il Cai ha compiuto lo stesso tipo di operazione sul fronte identitario. Nel delicato dibattito sulla toponomastica, si è mosso con intelligenza e saggezza. Ha agito così non perché si è chiuso a difesa di un passato che non passa o del “particolare italiano”, ma da organizzazione italiana ha trasformato la propria idea di Alto Adige in una visione che tocca tutti, in grado di spostare in avanti la discussione pubblica. “Vetta d’Europa” può essere il nome simbolo di quello che può diventare l’Alto Adige, una terra d’incontro di culture e lingue differenti che progettano qualcosa insieme, sentendo però un’appartenenza comune. Una bella idea, che ha cambiato il registro politico sul tema. Del resto, che cosa fecero in passato Magnago, Berloffa e Langer? Non tentarono di pensare un futuro in cui tedeschi e italiani potessero vivere insieme e non solo con-vivere? Possono avere compiuto errori nell’opera complessa della costruzione di una società plurale; sono stati certamente condizionati dal loro tempo e dalle sue durezze. Ma oggi non sono ricordati e rispettati per aver creduto in questa idea? Tutti e tre furono accusati di dividere, ma oggi sappiamo che, nel loro lavoro, non li abbandonò l’idea di riuscire a unire domani. E il domani siamo noi. Sono le idee che muovono la storia. Stiamo entrando nella società della conoscenza e dell’informazione. Guida la società chi guida l’innovazione. Guida l’innovazione chi ha la libertà delle idee. Guardate quello che è successo nella scuola, nella toponomastica, nell’economia: la forza vincente delle idee non sta solo nella ragione oggettiva che contengono, nella soluzione ai quesiti posti dalla complessità moderna. La loro forza si rivela nel fatto che uniscono, mobilitano le persone, creano alleanze sociali, muovono gruppi linguistici diversi. Le famiglie sanno che dotare i figli di competenze linguistiche avanzate e di un’educazione aperta, è fondamentale per il loro futuro. Secondo lo studio Ocse, “Education at a glance”, in Italia i giovani laureati tra i 25 e i 34 anni hanno un reddito da lavoro superiore di 24 punti percentuali rispetto ai diplomati, ma per i giovani francesi sale al 36 per cento, per i tedeschi al 46 per gli inglesi al 49 e per gli americani al 65. Per questo premono: perché la scuola altoatesina si attrezzi. Le famiglie sanno che occorre investire in conoscenza e qui abbiamo un ambiente plurilingue”naturale”, che ancora non si trasferisce pienamente in competenze individuali. Un’azione sociale che supera i confini linguistici si sta formando per ottenere un’offerta formativa nuova, adatta ai tempi, cioè una scuola dove non ci siano separazioni ma contaminazioni. Come spiega il nostro Campostrini, in una società basata sul rigido “o questo o quello”, si scopre la dimensione del misto. Un vantaggio competitivo formidabile nei prossimi anni. Non dimentichiamo che quando si parla di scuola e di plurilinguismo non stiamo facendo solo un discorso culturale, pure decisivo, parliamo anche di economia: un capitale umano più qualificato trova lavoro più facilmente, guadagna di più, vive meglio, e rende più competitivo il sistema economico. Gli imprenditori lo sanno. Per questo appoggiano la richiesta di una scuola bilingue. Se questa alleanza sociale che vede tante famiglie italiane e tedesche unite dal medesimo obiettivo eserciterà pressione, alla fine costringerà la politica a cambiare la scuola.
E’ la seconda cosa che stiamo imparando. Anche in Alto Adige compare la frattura tra società e politica. I cittadini sono meno prigionieri delle liturgie dei partiti, delle rivalità radicate nel passato, di una mentalità conservatrice che ha paura di proporre il cambiamento. Mentre i cittadini stanno mettendo in campo un’idea di sviluppo dal basso centrato sull’idea di quella che l’economista premio Nobel Amartya Sen definirebbe “espansione delle libertà reali” degli individui (”Risorse, valori e sviluppo” libro del 1992). I cittadini, i genitori, gli imprenditori vogliono giocare la sfida dello sviluppo, che non significa solo crescita economica, ma richiama l’estensione delle capacità individuali e collettive, la valorizzazione delle risorse territoriali e del suo capitale sociale. Il motore di questo processo va ricercato nel cambiamento e nella cooperazione per produrre quelli che gli economisti definiscono”beni collettivi”. E’ la politica che spesso arriva in ritardo, non sempre amministra con una visione, s’intorcina in vecchie divisioni, scivola nella conservazione dell’esistente. La politica fatica a realizzare sul territorio un processo di scoperta e attivazione che può essere decisivo per il futuro, scoperta delle risorse latenti e attivazione dei talenti, delle competenze, dei beni pubblici. Nella politica è soprattutto la Svp, il partito sistema, che stenta a uscire dalla gabbia del vecchio. Tuttavia, la marcia delle idee traccia un confine sempre più netto tra il vecchio e il nuovo, e sarà questa la differenza che conterà. Chi saprà esprimere il cambiamento, dare consistenza alla cooperazione, proporre idee, guadagnerà la centralità nella discussione e nella gestione pubblica. E’ lo scatto di cui l’Alto Adige ha bisogno.

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