Loredana, la donna  che scala di corsa i passi del Giro 

Bolzanina, 56 anni, dieci anni fa ha scoperto il fascino di correre da sola sulle strade predilette da bici e moto


di Antonella Mattioli


BOLZANO. Tutto è iniziato in una fredda giornata di febbraio di dieci anni fa: a passo Gardena nevicava. Lei ci era arrivata di corsa, salendo lungo la strada: era mattina presto e in giro non c’era anima viva.

Poi è stata la volta di passo Pordoi, passo Sella da entrambi i versanti, passo Stelvio, il Rombo, il Giau, il Fedaia, il passo Pennes, la salita al Gardeccia, al Rifugio Auronzo alle Tre Cime di Lavaredo, la salita a Plan de Corones dal Furcia, il passo Mendola, la salita al rifugio Cinque Torri, il passo Valparola, la salita allo Zoncolan, Passo San Pellegrino, Monte Grappa, Colle sopra Bolzano, Penegal.

«Le salite del cuore»: Loredana Scopel, 56 anni bolzanina, impiegata comunale negli uffici di via Lancia, definisce così le sue corse in solitaria lungo le strade dei passi che hanno fatto la storia di tappe mitiche del Giro d’Italia.

Il suo motto è: «In solitaria sempre fino alla cima, di gambe, di testa, di cuore. Perché i sogni non fanno rumore».

Grande appassionata di sport oltre che di moda - di entrambi parla e racconta nel suo blog snowinluxury - ha cominciato a dedicarsi, per caso, a queste particolari corse che hanno come meta i passi: «Mi sono detta: di andarci in bici sono capaci tutti (o quasi), perché non farle di corsa e da sola».

A casa e nel suo ufficio, oltre che in un piccolo quaderno in cui annota ricordi ed emozioni, una serie di scatti raccontano la fatica mentre sale lungo i tornanti e la gioia delle braccia incrociate quando arriva al cartello del passo. Ad attenderla c’è suo marito Franco.

Unico ammesso, con borraccia e maglione, al traguardo di una corsa vissuta in solitaria.

«Voglio avere - spiega - un approccio intimo alla montagna. Mi piace il silenzio, respirare la natura, godendomi ogni passo, ogni momento. Del resto, l’ultimo pezzo di strada in questa vita ciascuno di noi, lo fa da solo».

E da sola va anche ad allenarsi nei dintorni di Bolzano, lasciando a casa cardiofrequenzimetro, orologio, altimetro e altre diavolerie tecnologiche con cui misurare la performance per poi fare i confronti con le imprese precedenti.

«Il bello della corsa è l’essenzialità: maglietta, pantaloncini, bandana e un paio di scarpe, non serve nient’altro. Io però mi porto anche un nastrino colorato che lascio quando arrivo in cima al passo. In tempi in cui c’è la disperata ricerca del record che spinge ad alzare sempre più in alto l’asticella, a me piace salire con il mio ritmo. Voglio arrivare in cima ma senza forzare troppo ».

Le mete scelte da Loredana sono, in genere, molto frequentate da macchine, moto e bici, ma lei è abituata a partire di buon’ora: cinque, cinque e mezzo al massimo. Un’ora in cui, soprattutto nei periodi morti, puoi trovare al massimo un capriolo che ti attraversa la strada o una marmotta che fischia in mezzo ai sassi. Ma di “umani” in giro se ne vedono ancora pochi.

«La salita peggiore che sembrava non finire mai, è stata sul Giau (2236 metri di quota), quella “epica” , lo Zoncolan. L’ultima conquista: passo Duran, dove nevicava».

Le mancano ancora salite mitiche come Mortirolo e Gavia, oltre alla conquista dei quattro passi.

Anche lì Loredana lascerà un nastrino e quella che lei definisce una “preghiera di gioia alla vita”.

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